Provate a chiedere ad un bambino cosa vuole diventare da grande. Probabilmente la risposta più gettonata sarebbe: “l’astronauta“. Ma se potessimo porre la stessa domanda ad un cane? Forse la risposta sarebbe diversa, magari il suo sogno potrebbe essere quello di correre libero, qui sulla terra. Se per il bambino raggiungere lo spazio diventa volontà, per gli animali mandati in orbita questa volontà si trasforma in costrizione per “tastare il terreno” su cui edificare sogni altrui, spesso inutilmente.
Il 3 novembre 1957 Laika infatti, realizzò il sogno di molti bambini e preparò la strada a Jurij Alekseevič Gagarin (andato nello spazio nel 1961). Fu imbarcata a bordo della capsula spaziale sovietica Sputnik 2 e mandata in orbita. Ma questa non è proprio una favola con il lieto fine perché oltre lo spazio trovò anche la morte. Quello della cagnolina era un destino ormai scritto, infatti, la capsula non prevedeva il rientro. Insomma, Laika era un soldato dell’esercito sovietico addestrato per andare incontro a morte certa.
La storia di Laika
Tutto inizia con la guerra fredda, quel periodo di smania di grandezza da parte degli uomini che ha portato alla corsa per la conquista dello spazio. Ovviamente a quei tempi non si sapeva se un essere umano avrebbe resistito ad un viaggio nello spazio, quindi per testare la fattibilità dell’operazione si decise di usare gli animali come cavia. Il lancio viene ricordato come un traguardo importante, pionieristico, una conquista e una dimostrazione delle capacità dell’uomo. Certo, ma a quale prezzo? Siamo soliti dimenticare che dietro una conquista c’è sempre qualcuno che perde. In questo caso sono gli animali e nello specifico Laika.
Ma chi era Laika? Il suo vero nome era Kudrijavka, “ricciolina” ed era una meticcio, per metà husky e per metà terrier, trovata a Mosca quando aveva tre anni. Non sono note le motivazioni che hanno spinto il team sovietico a scegliere proprio lei per il lancio. Sicuramente le sue piccole dimensioni hanno giocato un ruolo fondamentale nella scelta considerate le dimensioni della capsula in questione. Selezionata dal capo-progetto Oleg Gazenko, insieme ad altri due cagnolini (Mushka e Albina), iniziò l’intenso periodo di addestramento.
L’addestramento
Per prepararla alle condizioni di vita all’interno della capsula, Laika, era lasciata in spazi stetti anche fino a venti giorni. Tutto questo fu seguito da simulazioni di viaggio in centrifughe che riproponevano movimenti e rumori tipici del lancio. Durante queste simulazioni la cagnolina era messa duramente alla prova tanto che la sua frequenza cardiaca triplicava. Inoltre, come reso noto successivamente dai membri del progetto, Laika soffriva di panico visto che per ritornate ai battiti normali ci impiegava tre volte di più rispetto alle sue “compagne di avventure”. Infatti l’addestramento arduo e stressante portò la piccola cagnolina ad avere anche degli scompensi psicofisici fino a farla diventare sempre più irrequieta.
Nonostante questo, l’addestramento continuò e Laika fu lanciata nello spazio, dalla base di Baikonur, strettamente incatenata all’interno della capsula, per impedirle di rivoltarsi e di muoversi dentro il cubicolo. Secondo le fonti ufficiali rimase in vita per quattro giorni (in uno spazio vitale angusto, da sola, nello spazio) ma in realtà morì poche ore dopo essere entrata in orbita. Laika non fu né il primo né l’ultimo animale spedito nello spazio. E oggi?
La situazione attuale
Sono passati sessantanni, le tecnologie a disposizione dell’uomo sono migliorate, e non di poco, ma comunque continuiamo a sfruttare ignari animali per raggiungere i nostri scopi. Ad esempio, in Iran, da anni si addestrano scimmie da mandare in orbita per il progetto di sviluppo spaziale. Anche in questo caso però non sono mancate le reazioni visto che gli iraniani, dopo il lancio del 2013 hanno presentato ai media una scimmia diversa rispetto a quella mandata in orbita.
Anche la Russia continua a sviluppare progetti spaziali che coinvolgono gli animali. L’intento è quello di mandare dei macachi su Marte. Il progetto è lanciato dal centro russo di ricerca sui primati di Sochi. L’intento è quello di addestrare un gruppo di macachi, scelti per la loro reattività intellettiva. Durante l’addestramento, l’animale prescelto dovrà sottoporsi a test per l’assenza di gravità e radiazioni cosmiche nel Centro di fisica nucleare di Dubna, come confermato dal capo progetto Serghej Orlov.
Se da una parte le condizioni del lancio sono migliorate e gli animali tornano quasi sempre a casa sani e salvi dall’altra parte non bisogna dimenticare la fase a monte di addestramento e preparazione. Gli animali, fino alla fine non sanno cosa stanno facendo, per cosa si stanno preparando e per quale motivo vengono sottoposti ad uno stress elevato.
La richiesta dell’ENPA
All’interno di questo quadro si inserisce la richiesta dell’ENPA di rendere il 3 novembre la giornata mondiale degli animali uccisi dall’uomo. Carla Rocchi, presidente dell’associazione, riferendosi proprio alla condanna a morte di Laika sostiene: «In questa storia, che viene spesso citata come il simbolo dello spirito pioneristico dell’uomo e del nostro desiderio di conoscenza, non c’è nulla di edificante. Anzi. La povera Laika è il simbolo della nostra volontà di dominio sulle altre specie. Perché – prosegue Rocchi – non c’è nulla di nobile nel condannare a morte una cagnolina, costretta a morire in modo atroce in un ambiente innaturale. E tutte quelle celebrazioni postume, dai francobolli alla fotocomposizioni evocative, mi sembrano decisamente ipocrite; un tentativo non riuscito di pulire le nostre coscienze».
Al termine della Guerra Fredda Oleg Gazenko, responsabile della missione, ammise che il lancio di Laika fu un sacrificio inutile. L’unico modo per non rendere davvero inutile la sua morte (come quella di altri animali) sarebbe quello di prendere esempio dalla sua storia. Non solo per la corsa allo spazio ma per tutti gli ambiti in cui gli animali vengono sfruttati senza ritegno. Quanto serve mandare animali nello spazio? La loro reazione allo stress, al contesto, all’addestramento può davvero essere paragonato a quella di un essere umano? Perché continuare ad addestrare animali ignari di quello che li aspetta? Quanto la consapevolezza e la conoscenza di quello che accade influenza il grado di resistenza?
Non ci sono ancora risposte univoche e certe, se non dentro di noi. Quello che possiamo fare è continuare a porci domande.