Il cibo spazzatura ci sta uccidendo, ancora più di alcol e sigarette: ad affermarlo è un’inchiesta realizzata da Bee Wilson – una delle più importanti giornaliste e scrittrici di food del Regno Unito – per il Guardian. Le stime parlano chiaro: nel 2015 circa 7 milioni di persone sono morte a causa del fumo di sigaretta e 2,75 milioni per cause legate al consumo di alcol, ma ben 12 milioni di morti sono invece da attribuire a un’alimentazione scorretta, in cui abbondano carni lavorate e bevande zuccherate, snack ipercalorici e junk food, e scarseggiano invece cibi salutari come frutta, verdure e semi oleosi, per esempio.
Il primo campanello d’allarme che dovrebbe portarci a riflettere realmente su quello che mangiamo è che il cibo che portiamo in tavola, rispetto a quello dei nostri nonni, è diverso: non parliamo soltanto di quantità (decisamente maggiori), né della comodità che ci permette di fare un salto al supermercato sotto casa per avere una cena pronta da scaldare semplicemente al microonde, ma anche del fatto che si tratta concretamente di alimenti differenti nella sostanza da quelli disponibili fino a poco tempo fa.
Un esempio tra tutti, spiega la giornalista, è rappresentato dall’uva: fino a una trentina di anni fa, ma forse anche meno, questo frutto rappresentava “un’incognita”, ne esistevano diverse qualità dal sapore molto diverso tra loro e riuscire a trovare il grappolo dagli acini veramente dolci e succosi era quasi un piccolo trionfo. Oggi, invece, abbiamo a disposizione pochissime varietà di uva, tutte dolci allo stesso modo (perché, se così non fosse, probabilmente nessuno le comprerebbe) e talvolta anche senza semi, per risparmiarci perfino la “fatica” di eliminarli.
La frutta così dolce – e, per fare un altro esempio, pensiamo anche alle mele Pink Lady, ottenute dall’ibridazione di due varietà per ottenere proprio una mela più zuccherina – è in un certo senso una richiesta del mercato: nessuno di noi è più abituato, come potevano esserlo i nostri nonni, ad acquistare e consumare dei frutti naturalmente acidi o amari la cui varietà più dolce era una sorta di eccezione, e questo è il risultato di un cambiamento più ampio nelle nostre abitudini alimentari. Vogliamo semplicemente mangiare cose “più buone”, in ogni ambito, e questo si può tradurre (anche se non sempre) in una qualità del cibo più bassa: “La frutta coltivata per la sua dolcezza non deve essere necessariamente meno nutriente – spiega Wilson – ma la frutta moderna resa meno amara tende a contenere meno fitonutrienti che conferiscono alla frutta, ma anche alla verdura, molti dei loro benefici protettivi per la salute. Questa frutta ci fornisce ancora energia, ma non necessariamente i benefici per la salute che ci aspettiamo“.
Mangiamo di più e peggio: è (anche) colpa del marketing
Un piatto di pasta più abbondante del normale, condita con il sugo pronto; il pranzo al volo in un fast food tra Coca Cola, hamburger e patatine fritte; quella merendina non proprio salutare che prendiamo quasi tutti i giorni, a metà mattina, al distributore automatico in ufficio: sappiamo che le nostre abitudini alimentari non sono delle migliori, magari ci sentiamo anche in difetto per questo, ma è davvero solo colpa nostra? Secondo la giornalista, no: “Non ha senso presumere che ci sia stato un improvviso crollo della forza di volontà nella popolazione di tutte le età e gruppi etnici a partire dagli anni ’60 – spiega – Ciò che è cambiato realmente è il marketing e la disponibilità di alimenti ricchi di calorie e poveri di nutrienti. Alcuni di questi cambiamenti stanno avvenendo così rapidamente che è quasi impossibile tenerne traccia”. Insomma, siamo indotti dalla pubblicità ad acquistare cibi “belli” e “buoni”, incartati in packaging accattivanti e sponsorizzati come “indispensabili”, anche se di fatto si tratta spesso di alimenti tutt’altro che salutari.
Parliamo infatti di alimenti quasi sempre già pronti, ricchi di grassi e additivi, ricchissimi di calorie ma decisamente poco nutrienti, che come se non bastasse vengono spesso accompagnati da bevande zuccherate o alcolici. Una piaga che interessa la maggior parte dei paesi nel mondo e di cui è triste emblema la Cina: fino a qualche anno fa, quando nessuno consumava cibo fuori pasto e ancora meno alimenti già pronti, nel complesso la popolazione era normopeso e non aveva problemi legati all’alimentazione; oggi – e più precisamente a partire dal 2004, secondo gli esperti, quando ha avuto inizio “l’era dello snack fuori pasto” anche in Cina – la popolazione deve fare i conti con malattie come sovrappeso e obesità, sia tra gli adulti che tra i bambini.
Dieta vegana: una possibile soluzione
La soluzione a questo problema sembrerebbe un cambio di rotta verso un’alimentazione più sana, in cui il “cibo spazzatura” e da fast food siano messi da parte in favore di alimenti più sani e dall’alto valore nutritivo. Inutile dire che una dieta vegana equilibrata può rispondere a questi requisiti, e lo affermano numerosi esperti: non solo l’alimentazione senza derivati animali ha ottenuto il via libera del nostro Ministero della Salute, ma sono diversi gli studi che ne confermano i benefici per il nostro organismo, a tutte le età. Non solo la dieta vegan è risultata più protettiva di quella mediterranea nei confronti delle malattie cardiovascolari, ma gli esperti la considerano l’alimentazione giusta per prevenire le malattie cardiovascolari nei bambini nonché lo strumento per ottenere in sole 48 ore i primi benefici sulla salute.
Ma non basta: se la scelta del singolo è un aspetto fondamentale, altrettanto importante sarebbe cambiare il sistema secondo il quale concepiamo l’alimentazione oggigiorno. Secondo quanto riportato dall’OMS qualche tempo fa, sarebbe necessario evitare di pubblicizzare cibi come caramelle, burro di arachidi, biscotti, creme spalmabili al cioccolato, snack e drink di ogni genere: un espediente utile per evitare l’obesità infantile (per la quale l’Italia detiene un triste primato) ma anche per arginare il problema nella popolazione adulta. Una proposta di legge presentata lo scorso anno nel nostro paese, inoltre, prevedeva di rendere “più sani” i distributori automatici nelle scuole, mettendo al bando il cosiddetto cibo spazzatura, mentre la proposta dell’OMS è di tassare le bibite gassate dal 2018.