A pochi giorni dalla condanna definitiva per i gestori della struttura, che fu chiusa per maltrattamenti nel 2012, la vicenda di Green Hill rimane finalmente solo un ricordo. L’allevamento, infatti, non riaprirà e rimane confermata la confisca dei cani decisa nei due precedenti gradi di giudizio. I cani, appunto: sono 2639 i beagle sottratti all’allevamento, la cui custodia giudiziaria era stata affidata dal Tribunale di Brescia a LAV e Legambiente. Ora, dopo cinque anni, tutti loro hanno una famiglia e una casa piena di coccole, pappa e attenzioni: noi di Vegolosi.it abbiamo voluto raccogliere le testimonianze di cinque persone che hanno scelto di adottare i cagnolini di Green Hill, per scoprirne la storia, le disavventure e, finalmente, il lieto fine. Ecco cosa ci hanno raccontato!
Pedro, di Stefania Venturini
Io e Pedro ci siamo incontrati il 30 luglio 2012. All’epoca lui era un cucciolo di 7 mesi: magrissimo, zampine esili, il pelo tutto ricoperto di alopecia, i denti completamente neri. Quasi sicuramente era già stato sottoposto a dosi massicce di antibiotici. Ricordo che i primi giorni a casa non sapeva nemmeno bere dalla ciotola, ma dopo un mese con noi Pedro era diventato uno splendore.
Due anni fa abbiamo scoperto che Pedro soffre di IDB (malattia infiammatoria cronica intestinale), che gli impedisce di assimilare il cibo. Nessuno mi toglie dalla testa che si tratti di un “regalo” degli esperimenti effettuati su di lui nei primi 7 mesi di vita. Dopo un primo anno stabile, da aprile la situazione è precipitata e Pedro ha perso tantissimo peso, tanto da ricordarmi il cucciolo uscito da Green Hill; la strada da intraprendere è quella del cortisone e degli immunosoppressori, ma prima dobbiamo riuscire a debellare un virus che lo perseguita da qualche mese. Il problema è che Pedro, visti gli esperimenti fatti su di lui con gli antibiotici, è resistente alla maggior parte degli antibiotici in commercio: per questo, da aprile viviamo alla giornata, nell’eterna speranza che possa migliorare. Se tornassimo indietro rifaremmo tutto nuovamente e non ci ha mai sfiorato la paura che Green Hill potesse riprenderselo perché era una non possibilità: Pedro non sarebbe mai ritornato dentro quel lager, mai. Nella nostra vita con lui questa è sempre stata la nostra unica certezza.
Libero, di Veronica Giraldo
Libero è nato l’11 agosto 2011 a Montichiari; allora non si chiamava Libero, ovviamente, perché lì nessuno gli aveva dato un nome. Inizialmente, uscito dall’allevamento, Libero è stato mandato in stallo al canile del mio paese. Io, come tantissime altre persone, ho seguito la procedura per l’adozione e, dopo pochi giorni, mi è stato comunicato che la mia domanda era stata accettata: in preda alla felicità e all’emozione sono corsa in canile. Finalmente, il 4 agosto, Libero era diventato davvero libero!
Del gruppo di Beagle arrivati al canile, lui era il più malconcio e il più “anziano”: aveva un anno, mentre gli altri erano tutti cuccioli. È venuto a casa con me, ma inizialmente non è stato facile: aveva il terrore negli occhi, era spaventato da tutto per via di quei dodici mesi vissuti interamente dietro a delle sbarre, in capannoni asettici, privati di ogni odore e rumore al di fuori dell’abbaiare continuo dei suoi compagni di prigionia. Il lavoro duro è stato proprio quello di educare quel cagnolino terrorizzato che non “sapeva fare il cane”: tutto per lui era fonte di terrore, perfino le foglie che si muovevano, il rumore delle macchine in lontananza e le persone. Ci è voluta tanta pazienza, ma a distanza di tre anni Libero oggi è un cane “normale” ed è riuscito a superare anche le sue paure più profonde come quelle per i guanti in lattice, i sacchi neri, gli uomini con gli occhiali, le corde, l’odore della candeggina, le posate di metallo.
Artù, di Samanta Stefàno
Il mio Artù è nato a Green Hill il 14.03.2012, ma la sua vera vita è iniziata cinque mesi dopo, quando ha conosciuto la sua nuova famiglia. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui sono andata a prenderlo, l’istante in cui gli ho fatto una promessa: qualsiasi cosa fosse successa, lui non sarebbe mai più tornato nell’inferno di Green Hill, non sarebbe mai diventato una cavia da laboratorio perché io non avrei permesso a niente e nessuno di separarci. E questa promessa l’ho mantenuta.
Quello che avevo tra le braccia era un cucciolino spaesato che non abbaiava e non emetteva alcun suono, ed è stato così per parecchi mesi: secondo il veterinario questo era dovuto ad uno dei tanti traumi che la prigionia gli aveva causato. Ci sono voluti mesi, tanto impegno e tanto amore per fargli superare le paure che, in seguito, ho scoperto essere comuni a tutti i Beagle di Green Hill. Artù – come gli altri – doveva “imparare” a essere un cane perché, fino ad allora, questo gli era stato negato così come gli era stata negata la libertà. I mesi successivi sono stati una continua scoperta: la luce del sole, l’erba dei prati, la pioggia, la neve, la compagnia dei suoi simili e della parte buona degli umani. Oggi lui è il re della casa, della mia vita e del mio cuore e grazie a lui ho cambiato anche le mie abitudini e il mio stile di vita: sono diventata vegetariana, non acquisto più niente che venga testato sugli animali e ho creato un gruppo animalista su Facebook, “Le Famiglie dei Beagles in affido”, attraverso il quale cerchiamo di sensibilizzare le persone nei confronti dei nostri fratelli animali indipendentemente dalla specie a cui appartengano.
Leila, Belinda e Joy di Gianfranco Bertanza
Nonostante abitassimo a pochi chilometri dall’allevamento, non sapevamo nulla di quello che succedeva al suo interno, almeno fino alla prima grande manifestazione animalista contro la struttura. Quando i primi cagnolini sono stati sottratti all’allevamento, abbiamo fatto richiesta tramite Lav per l’adozione, insieme a moltissime altre famiglie. Di fatto, le cagnoline sono diventate nostre già in quel momento e non temevamo di doverle restituire alla struttura: nel primo periodo circolava questa notizia, ma in realtà i cani dovevano necessariamente crescere e vivere in ambiente asettico per poter essere usati in laboratorio quindi, una volta usciti di lì, non sarebbero più potuti tornare indietro se non per una mera rivincita da parte degli allevatori.
Quando sono arrivate da noi, le cagnoline avevano circa un anno ma erano davvero molto spaesate, perché non avevano mai avuto nessun contatto con il mondo esterno. Oggi che hanno 5 anni sono cagnoline socievoli, hanno imparato a rapportarsi con i loro simili e con le persone, ma la loro salute ha risentito di quel periodo nell’allevamento: una di loro, infatti, soffre di crisi epilettiche, mentre le altre hanno vari problemi alle articolazioni. Io e mia moglie abbiamo anche partecipato al processo, guardando in faccia chi lavorava nella struttura e chi la dirigeva: devo dire che sono persone “normali” che semplicemente svolgevano il proprio lavoro, ma non mi spiegherò mai come si possa allevare la vita per poi sfruttarla in questo modo atroce.
Freedom, di Silvia Ruffinello
Ho preso Freedom il 30 luglio 2012: magra, spelacchiata per una vistosa dermatite sulla testa e sulle orecchie, aveva una parassitosi intestinale e un fungo alle orecchie. Era molto spaventa, ogni minimo rumore la terrorizzava e ha impiegato un anno a diventare il cane che è adesso, una creatura socievolissima e molto attiva. Da Green Hill riporta la lussazione con artrosi al ginocchio sinistro, curata ma non operata vista l’impossibilità a tenerla ferma. Su di lei ho un romanzo in uscita dal titolo “Freedom, Lillo & Co. Green Hill: l’inizio della sua fine” edito da Pathos Edizioni.
Devo dire che non sono stata tranquilla fino a che l’ho avuta definitivamente in custodia e ho potuto iscriverla all’anagrafe canina della mia regione. Ho combattuto per anni contro questo allevamento e continuo il mio impegno contro la vivisezione. I beagle sono cani meravigliosi e questi di Green Hill lo sono ancora di più, se possibile, perché hanno una dolcezza particolare, difficile da descrivere. Tutte le sofferenze subite li hanno segnati ma devo dire che Freedom dimostra una gioia di vivere comune a pochi esseri viventi, ha dovuto imparare cosa significa la libertà e le ho promesso che per lei non ci saranno mai più gabbie. Ora posso dire che crescere e vivere con lei è un’esperienza meravigliosa, mi ha insegnato tante cose: intanto che la libertà va difesa sempre, che ogni tanto bisogna fermarsi per “annusare” la vita, saperne apprezzare ogni momento.
Animali “da fattoria” come cane e gatto: l’esperienza di chi vive con loro – Prima parte