Il mare di commenti che questa finta storia ha generato sui social (spesso di chi non ha letto che la storia era, appunto, di fantasia) ha a che vedere con una domanda di base: come si può, e sopratutto di deve, raccontare esattamente che cosa significa mangiare carne ad un bambino? C’è chi fra i commentatori plaude il fantomatico maestro che porta gli alunni a vedere “la realtà dei fatti”, c’è chi si rallegra perchè nella cittadina ci saranno, dopo la gita, molti più vegani, c’è chi, invece, sostiene che non fosse il caso e che è “troppo per un bambino”. Il tema è complesso e certamente non esiste una risposta univoca perchè è complessa la realtà da cui si può partire: si è genitori? Insegnanti? Amici di genitori con bambini? Nonni? E quanto è “giusto” imporre le proprie scelte alimentari ed etiche ad un bambino?
Quello che certamente è fondamentale, però, è non interrompere un legame naturale e immediato: quello dei bambini con gli animali, di tutti i tipi. Citiamo volentieri un bel libro della piscologa Annamaria Manzoni che ha una tesi riguardo a questo punto:
“I bambini nascono con un’innata predisposizione all’empatia nei confronti degli animali, perché riconoscono in essi qualcosa di vicino a loro, alla loro umanità.”
Insomma, accade spesso che, se i genitori danno il “cattivo esempio”, questo legame si interrompa e vada ad inserirsi in un vortice di “abitudine alla distanza” che viene poi veicolato e rafforzato da realtà come i circhi e gli zoo nelle quali gli animali sono “oggetti” da mostrare e non esseri viventi con diritti e sofferenze.
Quindi, forse non è necessario portare un ragazzino (anche se immaginario) in gita in un mattatoio, ma la prossima volta che si avvicina ad un cane o ad un gatto, accarezzatelo per primi, insegnategli l’empatia, verso tutti.