Sea Shepherd rinuncia al vessillo da “eco-pirata” e issa bandiera bianca contro il Giappone, almeno per quest’anno. Dopo oltre 12 anni di lotta, infatti, l’organizzazione senza scopo di lucro che si occupa della salvaguardia degli oceani e della fauna ittica non intraprenderà le consuete azioni di contrasto contro le attività del governo giapponese, che compie ogni anno – da oltre mezzo secolo – una cruenta mattanza di balene nelle acque antartiche. Tra i motivi di questa resa, che l’associazione assicura essere temporanea, c’è la consapevolezza di non poter competere con i mezzi tecnologici a disposizione della flotta baleniera giapponese, ma anche l’impiego da parte di quest’ultima di mezzi militari, come spiega la ONG, “per sorvegliare i movimenti delle navi Sea Shepherd in tempo reale via satellite, in modo che possano essere facilmente evitate”.
A questo va aggiunta l’approvazione da parte del governo nipponico di leggi controverse che considerano atti terroristici le azioni di contrasto portate avanti dalle navi di Sea Shepherd. “Quest’anno il Giappone ha inasprito la propria resistenza con l’approvazione di nuove leggi antiterrorismo – spiega infatti l’ONG – alcune delle quali specificamente studiate per condannare le tattiche di Sea Shepherd. Per la prima volta in assoluto, il governo ha dichiarato di poter inviare i propri militari per difendere le proprie attività illegali di caccia alle balene”.
Sì, perché bisogna ricordare che questo tipo di caccia è in contrasto con la Moratoria dell’International Whaling Commission (IWC), contro la caccia commerciale alle balene. Dall’entrata in vigore della moratoria, in realtà, il governo giapponese ha sempre condotto la propria attività in nome della ricerca scientifica. Eppure, non esistono documenti che la avvalorino in quanto tale; il sospetto è dunque che dietro a questa caccia si nasconda in realtà una forte domanda di carne di balena in tutto il mondo, anche per scopi assolutamente insospettabili: secondo recenti indagini, infatti, la carne di questi cetacei è fortemente richiesta anche per alimentare gli animali allevati nelle industrie di pelliccia.
Sea Shepherd, però, non si arrende nonostante le difficoltà. Il capitano Paul Watson, tra i suoi fondatori, ha infatti dichiarato che l’organizzazione “non abbandonerà mai le balene” ma che, al contrario, “continuerà a sviluppare le proprie risorse, le tattiche e la capacità di arrestare in modo significativo le operazioni illegali di caccia alle balene della flotta baleniera giapponese”. Da ricordare, in ogni caso, che grazie al lavoro degli “eco-pirati” di Sea Shepherd a partire dal 2015 la quota massima annuale di balene cacciabili dalle navi Giapponesi è stata notevolmente ridotta, portata da 1000 a 333.
L’obiettivo, ovviamente, è quello di una progressiva eliminazione di questa attività crudele e anacronistica che, lo ricordiamo, coinvolge animali in via di estinzione: secondo Green Peace Italia, infatti, “il cambiamento climatico, l’inquinamento chimico e quello acustico, l’aumento del traffico marittimo e lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche mettono a repentaglio la sopravvivenza delle popolazioni di balene rimaste”.