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Figli: Tribunale interviene su menu onnivoro

Mamma vegetariana che sceglie la macrobiotica, papà onnivoro. Hanno un figlio di 12 anni. La coppia si è separata, il figlio vive alcuni giorni con la mamma e alcuni giorni col papà. Conseguenza, il ragazzino segue due stili alimentari diversi, a seconda dell’abitazione in cui si trova: quando è a casa con la mamma mangia cereali e verdure, quando è col papà si nutre con carne, latticini e dolci. E così i due genitori aggiungono l’alimentazione del figlio all’elenco di motivazioni per cui litigare e poi divorziare. Ma la goccia che fa traboccare il vaso è la decisione della mamma di chiedere anche alla scuola del bambino di rispettare la sua alimentazione macrobiotica. Apriti cielo: il papà non ci ha visto più e si è rivolto al Tribunale, con la speranza di ricevere una parola chiara sui menu da sottoporre al ragazzino. Il papà sostiene di non essere stato messo al corrente della decisione, la mamma dice che dopo i giorni col padre il figlio ha mal di pancia in seguito a pasti a base di polenta, gorgonzola e salsiccia.

Il giudice del Tribunale di Bergamo è stato chiamato a risolvere le liti dei due genitori. Il padre gli ha chiesto di assumere, “in mancanza di accordo fra i genitori, gli opportuni provvedimenti con riguardo al regime alimentare del minore”. La decisione non si è fatta attendere, sotto forma di accordo tra le parti: la mamma deve dar da mangiare carne al figlio almeno una volta a settimana, il papà non deve proporre bistecche per più di due volte per ogni weekend. Una decisione che però, in altri termini, invita i due genitori a maggior tolleranza e apertura. E probabilmente anche a prendere una decisione comune, magari sedendosi attorno a un tavolo, ovviamente mangiando quello che ognuno preferisce.

Vegolosi.it ha intervistato Carlo Prisco, avvocato civilista nonché esperto in diritti degli animali, vegetarismo e veganismo. Da lui abbiamo ricevuto conferma che gli studi legali e i tribunali sono pieni di casi in cui si discute di argomenti di tale portata. Posto che l’interesse del minore è l’elemento fondamentale di cui il giudice tiene conto, non esiste una legge che punti a stabilire nello specifico quale sia l’alimentazione che i genitori devono dare ai figli. Occorrerebbe, quindi, una maggiore conoscenza dei vari regimi alimentari per capire in concreto i possibili danni che i cibi possono arrecare. A questo punto, spiega l’avvocato, “l‘accordo ha valore contrattuale tra le due parti: ognuno fa quello che dovrebbe fare e se l’altro ha motivo di ritenere che ciò non si verifichi può tornare a fare ricorso a un tribunale, portando le prove del caso, perché l’altro si conformi agli accordi, ottemperandoli”.

Domenico D’Alessandro