Dal cibo ai cosmetici fino ai prodotti per la casa, oggi è tutta una rincorsa al prodotto “più naturale”. Ma c’è un campo nel quale l’utilizzo di questa parola ha a che fare strettamente con la salute e rispetto alla quale è bene essere informati. È quello della fitoterapia, che spazia dai medicinali veri e propri ai tanto reclamizzati integratori alimentari. Ci aiuta a capire qualcosa di più di questi prodotti – cosa sono, come agiscono e come e se utilizzarli – Marco Biagi, docente universitario e ricercatore nel campo della biologia farmaceutica all’Università di Siena.
Professore, che cos’è esattamente la fitoterapia?
È quella branca della farmacoterapia che utilizza come principi attivi le preparazioni vegetali. Si occupa, cioè, dei medicinali vegetali. Il Ministero della Salute ci dice che i fitoterapici possono essere distinti in medicinali veri e propri e in prodotti di tipo diverso, inquadrati come “prodotti per la salute” (pensiamo ai cosiddetti integratori). Intende dire, cioè, che molti prodotti vegetali hanno anche una normativa di utilizzo di tipo non farmaceutico, ma che sono autorizzati nel campo dell’integrazione alimentare e di altri prodotti funzionali alla prevenzione o al mantenimento della salute (che non hanno quindi scopo terapeutico).
Che siano medicinali o meno, questi prodotti spesso sono presentati come “naturali”. Ma cosa si intende con questa parola?
Per ottenere degli effetti benefici le preparazioni vegetali prevedono delle trasformazioni che di naturale, in quello che è il senso comune del termine, possono avere poco. I passaggi che da un alimento vero e proprio conducono a una preparazione vegetale, concentrata ed elaborata, inevitabilmente un po’ allontanano dalla natura della pianta stessa. Non per questo, si perde in naturalezza e, certamente, non si perde in sicurezza. Un esempio? Il ginkgo biloba, utilizzato per il micro-circolo e per il miglioramento delle capacità mnemoniche. Se mangiamo una foglia di questa pianta possiamo avere gravi problemi gastro-intestinali e di sensibilità cutanea (a differenza di quanto accade ai cinesi, che hanno una tradizione legata al consumo e quindi alla metabolizzazione della pianta). Al contrario, se usiamo un estratto che elimina le componenti allergizzanti, avremo tutti i vantaggi e nessuno svantaggio.
Il fatto che siano prodotti derivati da preparazioni vegetali li rende automaticamente “sani”?
Per le sostanze vegetali il concetto di “sano” ha a che fare unicamente con il loro meccanismo biologico, che ha a che fare, a sua volta, con la coevoluzione uomo-pianta. Facciamo un esempio: il mio organismo riconosce un flavonoide presente in un fitoterapico perché lo stesso flavonoide o un suo stretto derivato è presente anche in alcuni alimenti consumati dall’uomo (cosa che non avviene con una molecola di sintesi). Enzimi, recettori e molti altri elementi della cellula animale interagiscono con il mondo vegetale con cui hanno condiviso un percorso fatto di millenni di “sperimentazione” alimentare e coabitativa che ha portato all’adattamento reciproco sul pianeta.
E dal punto di vista della tossicità?
Ovviamente, il discorso vale anche al contrario e le sostanze naturali, proprio perché riconosciute e processate dal nostro metabolismo, possono portare a effetti tossici anche gravissimi: esempi come la cicuta o la ricina sono chiarificatori. Per questo, anche se sono “naturali”, se scegliamo male le sostanze o non le usiamo correttamente, il rischio di intossicarci è elevatissimo. “Naturale” non significa sano, significa solamente ricorrere a principi attivi che hanno una loro validazione derivata da una tradizione medicinale o alimentare.
Esistono delle indicazioni di legge sui prodotti fitoterapici?
Per quanto riguarda i farmaci vegetali veri e propri abbiamo le indicazioni e i controlli di qualità che derivano dall’autorizzazione stessa del medicinale. Per quanto riguarda, invece, i prodotti vegetali come gli integratori abbiamo controlli di qualità che si rifanno al settore alimentare e indicazioni salutistiche che in Italia sono dichiarate dai “claim” autorizzati dal Ministero della Salute. Ce ne sono tantissimi e molto variegati, che legano l’uso del prodotto a un plausibile effetto in termini di prevenzione o mantenimento della salute.
Perché un “plausibile effetto”?
L’etichetta non ci dà nessuna garanzia di efficacia: ci dice che una certa pianta medicinale, in quella preparazione, può sortire quell’effetto, secondo dati di letteratura. Che poi lo faccia o no dipende da molti fattori, come il dosaggio, la qualità del prodotto stesso, il contenuto dei principi attivi, in sintesi dalla competenza del produttore e dalla ricerca che è stata condotta.
Per tutti quei prodotti fitoterapici che non sono catalogati come medicinali, quali criteri dovremmo quindi seguire per l’acquisto?
Fare riferimento alla qualità del prodotto stesso, intesa come maggior possibilità di rendere plausibile l’effetto desiderato. Poi, informarsi e andare oltre gli appelli del marketing, che sfruttano il fatto che questo sia un settore ampio e poco delineato, perché a cavallo tra l’alimentare e il farmaceutico. E rivolgersi ai professionisti formati a livello scientifico sui prodotti vegetali.
Quindi niente fai da te…
Il fai da te in fitoterapia è quasi sempre fonte di delusione proprio perché i prodotti per l’integrazione non hanno una normativa che ne impone l’efficacia. È bene ricordare che tutto quello che viene messo in commercio è fatto perché rispetti la normativa sulla sicurezza, ma che poi “faccia bene” o sortisca un particolare effetto è qualcosa di molto soggettivo e che è bene rimandare al professionista di riferimento.