Berlino, una domenica sera. Una folla di persone si riversa nel locale “Dandy Diner” e si accalca fin in strada speranzosa di entrare fino a che non interviene la polizia per riportare ordine e far proseguire senza incidenti la festa. Arese, un sabato sera. Una coda di quasi due ore si forma nel centro commerciale appena inaugurato (“Il Centro”) davanti a “KFC”, famoso per il suo pollo fritto, fino a quando la folla non viene dispersa per evitare che la situazione degeneri ulteriormente.
Due fast food, due inaugurazioni, due diverse nazioni. Il primo vende cibo vegan cruelty free nella capitale più vegan friendly d’Europa. Il secondo distribuisce gratuitamente pollo fritto di mediocre qualità a una folla adorante che ha affrontato 10 km di coda in autostrada solo per arrivare al parcheggio.
Di quale nazione vorreste essere i cittadini di fronte a questi episodi, analoghi, ma nel contempo profondamente diversi? La Germania ha dato i natali alla prima catena al mondo di supermercati 100% vegan, Veganz il cui slogan è “Wir lieben leben” (“Noi amiamo la vita”); in Italia, la patria del mangiar bene, la domenica si passa in coda per accaparrarsi l’ultima aletta di pollo fritta distribuita da una multinazionale americana.
C’è un confine – la fatale e invisibile porta che conduce al delirio e al fanatismo – da non oltrepassare mai. Invece, per l’ennesima volta, siamo costretti a constatare che l'”italiano medio” non è sola una caricatura stereotipata, non è un personaggio buono solo per i cinepanettoni, non è l’incarnazione di luoghi comuni triti e ormai decaduti. Purtroppo fa parte della nostra identità nazionale. E che cali il sipario, non c’è nient’altro da aggiungere.
Serena Porchera