Vegolosi

Expo: la carne di coccodrillo e l’occasione persa

Dopo una lunga attesa il cluster che ospita lo Zimbawe potrà servire carne di coccodrillo o meglio il “Crocoburger”, costerà 15 euro e verrà servito con una bevanda al baobab. I controlli dei veterinari Asl sono stati superati e alla dogana sono passati mille chili di questa carne che verranno cucinati (non si sa ancora se al forno o fritti) e serviti al pubblico. Unica limitazione consumarli solo all’interno del cluster.

I crocoburger verranno preparati proprio qui in Italia, a Milano, dentro al cluster,  insieme alla bevanda, e sul sito ufficiale del prodotto (non ancora navigabile ma visibile) campeggia la scritta “Il lusso della carne”. Partiamo dalla definizione di “lusso” per analizzare l’ennesima notizia che pare allontanare sempre di più il tema di Expo (Nutrire il Pianeta, Energia per la vita) da Expo stessa. Il “Lusso” è un bene di consumo superfluo, voluttuario, è un divertimento o una spesa che rappresenta un eccesso rispetto alle possibilità economiche. Sul fatto che la carne di coccodrillo sia superflua non ci sono grossi dubbi e non è nemmeno necessario mettere in campo lunghe argomentazioni.

Sul fatto che la carne di coccodrillo sia “un divertimento” una riflessione va fatta in relazione al tema di Expo e all’educazione alimentare: che cosa non è chiaro all’organizzazione di questa grande occasione persa per riflettere sul futuro dell’alimentazione? L’obiettivo non doveva essere quello di (citiamo dal sito Expo) “dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri”? In che modo il messaggio che la cosa migliore sia andare alla ricerca di nuove fonti animali di carne (insetti o coccodrilli) può essere una risposta a quella domanda così bella e importante? Che cosa non è chiaro del concetto “rispettare il Pianeta e i suoi equilibri”?

Ovviamente la questione “carne di coccodrillo” crea notizia, ma il consumo di carne in generale ha creato danni documentati in tutti i modi possibili e non solo da vegani o vegetariani, ma anche da chi ha analizzato la situazione mondiale sotto il profilo più oggettivamente economico ed ambientale (pensiamo a Michael Pollan nel suo “Il dilemma dell’onnvoro” oppure a Jeremy Rifkin in “Ecocidio” o ancora a Philip Lymbery in “Famageddon”). Non si tratta più nemmeno di etica (anche se l’etica dovrebbe avere un peso in tutta questa riflessione) ma di dati e di fatti. Se la carne di coccodrillo in Expo non è un “divertimento” ma solo un modo per trovare alternative e risposte al problema della nutrizione, perché non dare il via all’importazione anche della carne di cane? Non è anch’essa un’alternativa proteica?

Non si tratta di essere contrari ad Expo per principio. La libertà di raccontare il cibo è sacra e nessuno può pensare che Expo potesse diventare un’iniziativa “pro veg”: ma come è possibile, per fare un solo esempio, che dato il tema, non si siano ancora fatte tavole rotonde in cui affrontare il tema dell’impatto dell’allevamento intensivo sulla situazione del nostro unico Pianeta, per esempio? Non si tratta di un argomento “politico” a favore dei vegetariani o dei vegani, ma di una questione reale. Perché a favore del clamore, della curiosità attorno agli alimenti “strani” ed “esotici” Expo sta perdendo l’occasione di fare quello per cui è nato, ossia dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri. Se la risposta di Expo è “troviamo altra carne da fare mangiare al mondo”, allora qualcosa non va.

Federica Giordani