Kip Andersen e Keegan Kuhn non mollano, anzi. Nel giro di 13 ore hanno già raccolto 42mila dollari (e la stima continua a crescere mentre stiamo scrivendo) per portare a termine “What the health” il loro nuovo documentario. I creatori di “Cowspiracy“, il film che sta girando per il mondo per raccontare il vero impatto della produzione di carne sull’ambiente, proseguono in modo assolutamente coerente il loro percorso pestando i piedi all’industria della salute.
Di che cosa parla il documentario?
“What the health” si pone l’obiettivo di scoprire quale sia l‘impatto degli alimenti di origine animale e altamente trasformati sulla nostra salute, e racconta perché le principali organizzazioni che si occupano di salute negli Stati Uniti continuano a promuovere e sostenete l’industria nonostante gli innumerevoli studi medici che dichiarano e mostrano apertamente i danni di quel cibo sulla nostra salute.
Un documentario difficile e forse ancora più pericoloso e denso di rischi del precedente ma che ne è la diretta e inevitabile conseguenza: “Non solo esploriamo il rapporto di questo settore con la nostra salute personale- spiegano i due registi – ma come questo sia collegato all’industria farmaceutica, l’industria medica, le organizzazioni sanitarie, anche al governo e, inoltre, parleremo anche degli effetti che la produzione industriale ha sulle comunità che vivono accanto alla produzione vera e propria”. Insomma, una vera bomba, e lo sarà, c’è da crederlo, dato l’effetto e il tam tam creato da Cowspiracy che pare inarrestabile e che ha battuto alla porta anche dei governi, compreso quello italiano.
I rischi veri
“Il rischio di parlare pubblicamente di queste industrie al mondo è grande – scrivono nel testo dedicato alla raccolta fondi Kip e Keegan – ma il fatto che tutto questo venga taciuto mentre milioni di persone muoiono ogni anno è un rischio ancora più grande. Non parlarne non è un’opzione percorribile, ed è per questo che siamo tutti qui, cercando di unire le forze per mostrare al mondo la verità”. I due filmaker hanno rischiato e stanno rischiando ancora per “Cowspiracy” poiché, lo ricordiamo, negli Stati Uniti, mostrare immagini di allevamenti e addentrarsi nelle meccaniche della produzione della carne e dei suoi derivati può costare un’accusa di terrorismo. Ma la macchina è avviata, e la raccolta fondi che sembra non arrestarsi (siamo arrivati a 45mila mentre terminiamo l’articolo), così come non si arresterà, lo sappiamo, la voglia di capire che cosa c’è dietro a quello che mangiamo.
Federica Giordani