Nell’epoca della condivisione e dello “sharing”, c’è chi ha deciso di condividere perfino i propri animali domestici: è l’ultima trovata della sharing economy, nata oltreoceano, e consente alle famiglie con poco tempo o poco denaro a disposizione di condividere un cane o un gatto con altre persone, sulla falsariga dello sharing di un’auto o di una bicicletta. Esistono perfino app dedicate – come BorrowMyDoggy e Share a Dog – e pare che il servizio sia particolarmente apprezzato oltreoceano, dove è in voga da qualche tempo.
Chi lo utilizza, ne tesse ampiamente le lodi: Janet Eggen, una nutrizionista del Michigan proprietaria di un barboncino di 7 anni, per esempio afferma a un quotidiano locale che “è un’idea nuova e visto che si stanno già facendo molti tipi di condivisione – condivisione di auto, condivisione di posti di lavoro – non è così strano pensare che le persone siano interessate alla co-proprietà di un animale domestico”. Ma come funziona esattamente il servizio? Si tratta di una vera e propria condivisione di un animale domestico: coloro che possiedono un cane o un gatto, infatti, “lo mettono a disposizione” della community, in modo che possa essere accudito a turno da più persone, dividendo le spese veterinarie e per il cibo.
L’animale, naturalmente, trascorre il suo tempo – nella giornata o nella settimana – con più persone che non appartengono al nucleo famigliare: una sorta di dog sitting a lungo termine e con persone diverse, in sostanza. Secondo chi lo utilizza, il servizio consente di ottenere molteplici vantaggi, sia per i padroni che per i cani: fare felici più persone, che non possono o non vogliono occuparsi di un cane a tempo pieno; recuperare tempo per impegni quotidiani, mentre il cane è con altre persone; migliorare il soddisfacimento dei bisogni del cane, che in questo modo non resterebbe solo troppo a lungo.
Dog sharing: il parere dell’etologo
Qual è, però, il parere degli esperti riguardo a questa pratica? Lo abbiamo chiesto al dottor Roberto Marchesini, etologo, direttore della scuola per educatori cinofili Siua e autore del libro L’identità del cane, che racconta la storia della reciproca alleanza fra uomo e cane. “Se fatta in modo corretto e attraverso una giusta preparazione delle due persone che devono avere, seppur attraverso una libera espressione della loro personalità, dei comportamenti coerenti tra loro rispetto al cane, credo che questa pratica sia una buona soluzione per dare al cane l’opportunità di non rimanere troppe ore isolato e alle persone di poter vivere questa esperienza” spiega.
“Un problema può insorgere se si instaura in uno dei due partner umani una relazione morbosa – continua Marchesini – ma questo è un problema che si riscontra anche nelle situazioni adottive non condivise, perché la morbosità provoca nel cane ansia o reazioni di irritabilità. Sono convinto che questa prassi comunque avrà uno sviluppo, viste le dinamiche di fluidità sociale che stanno sempre più caratterizzando le società del ventunesimo secolo, e se vi saranno problemi li conosceremo solo in seguito”.
“D’altro canto vedo una forte trasformazione del rapporto con il cane, una metamorfosi che mette sotto critica quel concetto di “pet” che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni e nel cui segno si sono costruite relazioni molto più intime ma anche tante aberrazioni. Il dog sharing va in quella direzione di un rapporto più libero, etologicamente improntato, rispettoso della soggettività del cane. Il rapporto con il cane cambia con il cambiare della società e il cane fa il possibile per mitigare, con il suo buon senso, gli eccessi umani. Non vi è dubbio pertanto che se tutto questo è possibile non è merito nostro, ma delle grandi capacità sociali del nostro amico a quattro zampe” conclude l’etologo.