Si chiama “deforestazione incorporata”. E’ quella inclusa nel consumo che facciamo di moltissimi alimenti (soia, olio di palma e carne in primis) la cui produzione e commercializzazione comportano la distruzione di foreste ed interi altri ecosistemi, come savane e praterie. L’Europa è il secondo più grande “importatore di deforestazione tropicale” , e l’Italia, tra i Paesi europei, si piazza al secondo posto della classifica. A stilarla è stato un report del Wwf diffuso oggi, basato su dati e approfondimenti dello Stockholm Environment Institute (SEI) sulle analisi del Transparency for Sustainable Economies-Trase.
Il report, intitolato “Stepping up: The continuing impact of EU consumption on nature, evidenzia il ruolo di primo piano dei Paesi dell’Ue nella distruzione “a distanza” degli ecosistemi naturali connessa alla produzione alimentare. E, per voce del Wwf, richiama l’Europa alla necessità di adottare misure legislative per contenere gli effetti collegati alle proprie politiche commerciali.
Il ruolo dell’Europa e dell’Italia
Secondo il rapporto, nel 2017 l’Unione Europea ha fatto peggio, in termini di deforestazione incorporata nei prodotti, solamente della Cina. Lo dicono i numeri, che parlano di deforestazione e trasformazione per 203.000 ettari di terreni naturali e di emissioni per 116 milioni di tonnellate di CO₂ (l’equivalente, per intenderci, di tutti i gas serra emessi in un anno da un Paese come il Belgio). Nel periodo di studio, compreso tra il 2005 e il 2017, i Paesi dell’Unione – è stato calcolato – hanno causato il 16% della deforestazione associata al commercio internazionale, superando India (9%), Stati Uniti (7%) e Giappone (5%). Se si guarda ai prodotti, quelli maggiormente collegati al fenomeno sono stati soia, olio di palma e carne bovina, provenienti per lo più da Sud America e Sud-Est asiatico, seguiti dai prodotti legnosi prelevati da piantagioni come cacao e caffè. E per quanto riguarda la soia, più dell’80% di quella consumata in Europa, ricorda il rapporto, è stata usata per l’allevamento degli animali.
Pochi hanno contribuito a distruggere molto, analizza poi il report, se si considera che in Europa l’80% della deforestazione inclusa nei prodotti, di provenienza tropicale, lavorati e consumati nell’Ue, è stata causata da soli 8 Paesi, Germania in testa, seguita a ruota proprio dall’Italia (e poi da Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Polonia).
Il problema non riguarda solamente le foreste, specifica il Wwf, ma anche altri ecosistemi, come nel caso della conversione delle praterie in terreni agricoli collegata alla produzione di soia e manzo (come nel caso del Cerrado, in Brasile, e del Chaco, in Argentina e Paraguay).
Una legge per cambiare le cose
Se i dati appena pubblicati hanno riacceso i riflettori sulla catena degli effetti domino alla base delle politiche alimentari globali, il tema non è certamente nuovo. Lo scorso anno più di 1 milione di persone ha aderito alla consultazione pubblica dell’Ue sulla deforestazione attraverso la campagna #Together4Forests, guidata dal Wwf e da altre organizzazioni proprio per chiedere nuove regole capaci di ridurre il peso dei Paesi dell’Unione nel problema mondiale della deforestazione e della distruzione di altri ecosistemi. Proprio il Wwf ha stilato una sorta di “checklist” di obblighi e principi che dovrebbero essere alla base di una rinnovata politica commerciale europea all’insegna della sostenibilità.
“Prima di tutto, la nuova legge comunitaria dovrà garantire che le merci che possono aver contribuito alla deforestazione o alla trasformazione di altri ecosistemi non arrivino a circolare internamente all’Europa e che nei Paesi produttori vengano rispettati anche i diritti umani“, spiega l’associazione sottolineando poi l’importanza della tracciabilità delle merci interessate, della trasparenza delle catene di approvvigionamento e della cooperazione con i Paesi produttori. Il Wwf sottolinea, poi, come le regole europee dovrebbero interessare non solamente gli ecosistemi forestali, ma anche le praterie, le savane e le zone umide delle stesse regioni, che vengono distrutti per far spazio a campi e pascoli a causa della crescita della domanda di prodotti e del trasferimento delle produzioni agricole e zootecniche dai terreni occupati da foreste verso altri tipi di ecosistemi.
Obiettivo: provare, anche su questo fronte, a ridurre l’impronta ecologica e l’impatto collegato ai consumi alimentari della nostra parte di mondo sulla biodiversità e le emissioni di gas serra globali, causa del cambiamento climatico e di diseguaglianze sociali ed economiche pesantissime.