Guardiamo da dietro le finestre di casa, chiusi dentro, inseguiti dalla paura di respirare qualcosa che non ci farebbe un granché bene, mentre loro guardano attraverso i visori della realtà aumentata. Loro chi, vi state chiedendo…le mucche. Un allevatore turco, mosso a ingegnosità da un post social di un collega russo, ha provato a comprare due paia di visori per la realtà aumentata e, sistemate bene le bende elastiche che li stringono attorno alla testa, li ha messi a due delle mucche «da latte» del suo allevamento. Da lì si vedono pascoli e praterie «piene di sole» – ci ha tenuto a specificare in un’intervista a una tv turca. Sembra che il risultato sia stato un leggero aumento della produzione del latte.
Non riesco a non vedere una sorta di angosciante parallelismo fra queste due immagini: il nostro lockdown ormai quasi interiorizzato – dato che di regole non ne esistono più da molto tempo – e quello degli animali, una segregazione imposta che distrugge in loro qualunque spinta etologica, che li ha trasformati in macchinari complessi per la rielaborazione della materia prima – macchinari, sia ben inteso, assolutamente inefficienti – e che in quella stalla in Turchia guardano a pascoli che non esistono, verso una realtà a loro negata.
Un circolo vizioso. Sappiamo bene, lo abbiamo letto, studiato e verificato negli scorsi mesi, anche se ormai non se ne parla più, che questa pandemia è solo la punta di una grossa polveriera sulla quale stanno appoggiati i nostri di dietro: l’innesco è la nostra cecità assoluta verso tutto ciò che non è umano. Sfruttiamo, distruggiamo, depauperiamo, al grido di «Ci penseremo poi a quello che accadrà», e spesso lo facciamo – ed è anche peggio – solo per ignoranza. Ecco perché quei visori saranno i nostri, o forse lo sono già.
Questo editoriale è tratto dal numero di Febbraio del mensile Vegolosi MAG.
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Foto di Egor Myznik su Unsplash