Più di 170 cani ora potranno avere una vita diversa: le gabbie dell’allevamento nelle quali erano stipati, ora sono vuote, grazie all’intervento e alla mediazione finanziaria dell’associazione Human Society International. L’allevatore, Kim Young-Hwan ha deciso, infatti, di dismettere la sua attività non solo a causa di una diminuzione della richiesta in Corea del Sud di carne di cane ma anche a fronte di un’offerta di denaro (si dice “molto cospicua”) garantita dalla stessa associazione che, a sua volta ha chiesto una mano con la raccolta fondi al pubblico attraverso donazioni libere. Insomma, una catena di solidarietà che ha portato ad un risultato davvero eccezionale.
Gli animali sono stati tutti salvati e portati in Canada dove saranno mano a mano dati in affido e in adozione a varie famiglie. Uno di loro, Eve, una cagnolona che sembra avere qualcosa a che fare alla lontana con un volpino, ha già raggiunto la sua nuova famiglia (nelle foto). L’associazione lavorava da mesi alle trattative con l’allevatore: l’obiettivo era chiudere definitivamente l’attività e il relativo macello alle porte di Seoul facendo in modo che l’uomo potesse intraprendere un’altra attività commerciale che non avesse a che fare con gli animali e così è stato.
“Siamo contenti – ha dichiarato la direttrice dell’associazione, Kelly O’Meara – di poterli aiutarli in questa transizione verso qualsiasi altro sostentamento a cui possono essere interessati, che non riguardi la produzione di cane canina o di altri animali. Nel quadro di questo accordo li aiutiamo a procedere nella transizione, ma chiudiamo l’azienda in modo permanente”. Secondo Human Society quello del signor Young-Hwan è il decimo allevamento in tre anni che chiude con questo sistema.
In Occidente nessuno (forse) si sognerebbe di mangiare carne di cane o gatto, ma qualcuno mangia quella di coniglio senza problemi, nonostante questi animali rientrino a pieno titolo fra quelli da compagnia (insieme ai criceti, infatti, sono circa 2 milioni quelli ospitati nelle case italiane). Mucche, maiali e galline, invece non sono culturalmente ancora pensati come “pets” (se non in casi rari come quello di Nina e Elvis) e perciò finiscono nei nostri piatti a tonnellate, ogni anno.
Non ha certo del tutto torto, quindi, l’allevatore coreano quando si domanda perché si chiede di fare chiudere quei macelli e non c’è così tanta pressione e attenzione per il resto degli animali e delle attività economiche ad essi collegate. Ma iniziamo dai piccoli passi e dalle belle notizie, anche perché le abitudini culturali si cambiano proprio così, lentamente e un passo alla volta.