Lo abbiamo perso senza quasi rendercene conto: negli ultimi decenni, a causa dell’inquinamento luminoso, il buio è sparito dalle nostre notti, divenute progressivamente sempre più illuminate, dentro e fuori casa. Con impatti gravissimi sulla biodiversità e la salute umana, ed enormi sprechi energetici ed economici. Senza buio, anche le stelle stanno sparendo dal nostro orizzonte lasciandoci privi dello stupore che suscitano nell’animo umano sin dalla notte dei tempi. E viene da chiedersi, citando Kant: che ne sarà della legge morale in noi senza più un cielo stellato sopra le nostre teste?
Ne abbiamo parlato con Fabio Falchi, fisico ricercatore presso l’Università di Santiago di Compostela, a capo del team internazionale che nel 2016 ha pubblicato il nuovo Atlante mondiale dell’inquinamento luminoso e presidente di Cielo Buio, la più importante associazione italiana impegnata nella difesa del cielo notturno.
Dottor Falchi, come si vede bene anche sull’Atlante, l’Italia è uno dei Paesi con la percentuale più elevata di territorio inquinato da luce artificiale. A cosa dobbiamo questo primato negativo?
Dal punto di vista dell’inquinamento luminoso l’Italia è il Paese del G20 con il territorio più inquinato al mondo, insieme alla Corea del Sud. Una delle cause è che installiamo più luce rispetto agli altri. Se facciamo un confronto con la Germania, per esempio, il rapporto tra la quantità di luce prodotta e il numero di abitanti è tre volte superiore. Vuol dire che procapite emettiamo il triplo della luce. Per portarci a livello dei tedeschi non servirebbe spegnere tutto, solo limitarsi a illuminare meno. Dalla nostra, possiamo dire di avere molte buone leggi regionali contro l’inquinamento luminoso che ne hanno in parte calmierato gli effetti negativi. Gli impianti che vengono realizzati da una ventina d’anni sono meno inquinanti perché fatti per direzionare la luce verso il basso e non inutilmente verso il cielo.
Insomma, illuminiamo bene ma comunque troppo?
In Italia illuminiamo cose totalmente inutili come strade fuori dai centri abitati o piste ciclabili di collegamento tra piccoli paesi, illuminate a giorno per tutta la notte, quando nessuno le usa. In Francia, al contrario, ci sono molte migliaia di Comuni che hanno iniziato a spegnere le luci a mezzanotte (e ciò nonostante i francesi di notte abbiano, rispetto a noi, energia elettrica in abbondanza prodotta nelle centrali nucleari). Per quanto riguarda la quantità di luce che buttiamo sulle strade, continuiamo ad avere livelli troppo elevati. Spesso strade secondarie vengono illuminate come se fossero autostrade, cioè con una quantità di luce 100 volte maggiore di quella data dalla luna piena, ovvero la sorgente di luce naturale più intensa che abbiamo durante la notte. Se facciamo il paragone con le sorgenti di luce naturale quando non c’è la luna, non solamente in autostrada, ma anche nei parchi cittadini o nei prati adiacenti all’illuminazione stradale, in città come nelle vallate alpine, abbiamo quantità di luce maggiori anche centinaia di migliaia di volte rispetto ai livelli che si avrebbero naturalmente. Ho personalmente misurato oltre 120 lux in una piccola rotatoria di campagna, dove le norme tecniche europee prescrivono meno di 10 lux. Questo significa impiegare 12 volte più luce ed energia dello strettamente necessario.
È come se avessimo paura del buio: spesso quando si parla di illuminazione viene tirata in ballo la sicurezza.
La sicurezza è utilizzata come pretesto. In realtà, lo studio più affidabile sulla correlazione tra luce e sicurezza, pubblicato nel 2015, prendendo in considerazione migliaia di chilometri di strade in Inghilterra e Galles, ha mostrato come provvedimenti come l’abbassamento della quantità di luce anche del 40% o il fatto di spegnere le luci pubbliche a una certa ora o spegnerle totalmente di notte non comportassero nessuna diminuzione di sicurezza né stradale né per quanto riguarda i crimini. C’è anche da dire che in Italia si illumina molto anche perché l’illuminazione è una cosa sotto gli occhi tutti i cittadini votanti: mostra che un’amministrazione pubblica sta facendo qualcosa per la città. In Francia, invece, non si fanno problemi a spegnere, non esiste questo tabù sulla luce.
Quali sono le conseguenze di tutta questa luce di troppo?
Abbiamo introdotto nell’ambiente notturno un fattore estraneo, la luce, che è qualcosa di nuovo, che fino a un centinaio d’anni fa non c’era. Un fattore determinante per la vita degli animali, per il foraggiamento, la caccia, le migrazioni, l’accoppiamento. Tutte le attività degli animali notturni si basano sulla quantità di luce presente: alcuni animali, per esempio, vanno a cercare cibo solo quando non c’è la luna, per essere meno facilmente individuati dai predatori. Quando creiamo un ambiente artificiale, che magari di giorno può sembrare incontaminato ma che di notte presenta questo fattore inquinante, la luce artificiale, andiamo ad alterare gli equilibri tra le diverse specie aggiungendo un elemento di stress molto forte a tutti gli altri fattori antropici che ben conosciamo. Se illuminiamo un ponte su un fiume, creiamo una barriera che risulta invalicabile per alcune specie, frammentando così il loro habitat. L’impatto sulla biodiversità è notevole.
Il discorso vale anche per le piante?
Le piante hanno un orologio interno che dice loro in che stagione sono: le ore di luce, insieme alla temperatura, determinano per esempio il momento in cui avviene la gemmazione o la perdita delle foglie. Se andiamo ad alterare artificiosamente il numero di ore di luce, le piante in autunno perderanno le foglie più tardi e in primavera fioriranno prima per essere poi soggette a gelate tardive.
E per quanto riguarda noi uomini?
Noi, come gli altri animali, di notte, in assenza di luce, produciamo melatonina. Prolungando la presenza di luce fino a notte inoltrata, la produzione di melatonina diminuisce alterando il nostro orologio circadiano. Questo, a cascata, provoca una serie di disturbi alla salute anche di gravità notevole, ad esempio sul metabolismo. Parliamo di un “allungamento del giorno” che, in questo caso, avviene soprattutto in interno, con le luci di casa e, soprattutto di pc, cellulari, schermi.
Nonostante tutto ciò, anche all’interno del grande dibattito su clima e ambiente, di inquinamento luminoso si parla molto poco.
L’inquinamento luminoso può sembrare un inquinamento di secondo ordine: si pensa che basti spegnere tutto per eliminarlo. In realtà, anche così facendo, si eliminerebbe l’inquinante in quel preciso momento, ma tutte le conseguenze negative di anni di illuminazione non sparirebbero. La perdita di biodiversità causata da decenni di eccessivo uso della luce non verrà più recuperata. Per questo motivo, dobbiamo fare in modo che anche questo inquinamento venga preso sul serio e che si introducano dei limiti alla quantità totale di luce prodotta, compatibili con la protezione dell’ambiente e della salute umana. Limiti che ora abbiamo già ampiamente superato. La buona notizia è che per la strategia sulla biodiversità, il Parlamento Europeo ha chiesto alla Commissione di fissare come obiettivo un’ambiziosa riduzione entro il 2030 della luce artificiale all’aperto.
Come si potrebbe intervenire nell’immediato?
Per quanto riguarda l’Italia, già all’epoca del Governo Monti, come associazione Cielo Buio avevamo presentato una serie di misure che si sarebbero potute adottare subito e avrebbero abbassato di metà la quantità di luce prodotta in Italia. Poi non è stato fatto nulla a causa di questa nostra “paura del buio”. E abbiamo perso l’occasione di risparmiare mezzo miliardo di euro all’anno dal 2013 a oggi. Giusto per dare un’idea: il più grande telescopio del mondo costa all’incirca quella cifra, investita da un consorzio di una ventina di Paesi europei in una decina di anni. Quello che avremmo risparmiato illuminando meno ci avrebbe permesso di realizzare, da soli, come Paese, il più grande telescopio al mondo. Uno all’anno. Tra quelle proposte c’erano cose molto semplici, che avrebbero potuto essere fatte rapidamente, come lo spegnimento degli impianti inutili fuori dai centri abitati, l’abbassamento della quantità di luce a livelli sufficienti per vederci ma senza eccessi e la sostituzione dei vecchi impianti. Su questo punto, però, bisogna fare attenzione: oggi la sostituzione di impianti obsoleti di illuminazione pubblica viene usata non tanto per abbassare l’energia consumata a parità di luce prodotta ma, paradossalmente, per poter realizzare nuovi impianti e illuminare di più.
Nel nostro piccolo, da cittadini, possiamo fare qualcosa?
Possiamo evitare di tenere accese sempre le luci esterne, per esempio, facendo informazione anche tra vicini di casa e conoscenti. E scegliere meglio gli apparecchi con i quali illuminiamo i nostri giardini, se proprio non riusciamo a lasciarli al buio. Usiamo solamente apparecchi che mandino la luce solo verso il basso e, soprattutto, che si accendano unicamente con dei sensori di movimento Possiamo chiedere ai nostri sindaci di illuminare meno e non per forza di più. Il problema è che siamo abituati a considerare sempre la luce come un fattore positivo e invece è un agente inquinante come molti altri.
Nel 2007 la “Dichiarazione Starlight” ha affermato che la contemplazione del cielo stellato è “un diritto inalienabile dell’umanità” per il suo impatto sulla biodiversità e lo sviluppo dei popoli. Ma troppa luce di notte vuol dire anche meno stelle: rischiamo di perdere per sempre il cielo stellato? E a che prezzo?
Pensiamo a Kant, a Dante, ai cieli di Van Gogh: l’uomo si è sempre meravigliato davanti al cielo stellato, è il più grande spettacolo che la natura ci può offrire. La visione della Via Lattea da un cielo incontaminato è qualcosa di incredibile che tutti noi dovremmo vedere almeno una volta nella vita. Fino a qualche generazione fa era uno spettacolo che chiunque aveva a disposizione tutte le notti serene dell’anno e che è stato fonte di ispirazione per le attività superiori dell’uomo, la filosofia, l’arte, la religione, la scienza, la letteratura: ognuna ha tratto ispirazione dalla contemplazione del cielo stellato. Questo, però, adesso non è più possibile: quasi tutti i bambini di oggi non hanno la possibilità di vedere un cielo stellato come si deve. Anche nei posti più bui, in Italia, il cielo stellato è inquinato. L’impatto culturale di questa perdita è una cosa della cui gravità non possiamo dare una stima, è un danno incalcolabile delle cui conseguenze ci renderemo conto solamente tra qualche generazione.