Vegolosi

Gli eremiti d’Italia: per trovare di nuovo se stessi e… il silenzio

Abbiamo fatto della frenesia una condizione necessaria delle nostre vite quotidiane. È stato dimostrato che in media perdiamo la concentrazione ogni 8 secondi, e spesso anche “concentrazione” significa rumore, informazioni, cose da fare. E se potessimo vivere anche solo per un attimo in silenzio, in diversi tipi di silenzio?

In viaggio tra gli eremiti

Joshua Wahlen e Alessandro Seidita nel documentario Voci dal silenzio (2018) e nell’omonimo libro, pubblicato nel 2020, hanno incontrato gli eremiti d’Italia, “uomini e donne che cercano di recuperare il senso profondo di sé e della vita attraverso un percorso di solitudine e silenzio”. Molti di loro sono accomunati da un forte richiamo alla spiritualità, spesso religiosa, che li conduce nei luoghi più sperduti dei nostri paesi: antichi monasteri, grotte, pievi. Le loro giornate sono scandite dai ritmi della natura: la sveglia all’alba, la cura dell’edificio che li ospita, la preghiera, il lavoro nei campi per garantirsi la sussistenza. E soprattutto, il silenzio. La vita degli eremiti ruota principalmente attorno a questo: una voglia di fuggire dalla confusione della vita (soprattutto) occidentale, caratterizzata dalla smania di accumulare “cose” e trascurare i propri pensieri. Nell’esistenza di un eremita, invece, è il silenzio a farla da padrone, anche se non sempre si tratta di un silenzio assoluto.

Il silenzio dell’incontro con l’altro

Gli eremiti che appartengono agli ordini religiosi vivono solitamente in comunità monastiche, dove i compiti sono molto precisi e accuratamente suddivisi. In questo contesto, non c’è spazio per le chiacchiere vuote: ogni dialogo, anche il più “banale”, operativo, è intriso di significato. E nell’altro si trova anche una risposta alla ricerca di se stessi.

È per questo che l’eremitismo passa anche attraverso l’accoglienza dei pellegrini in visita. “Siete dei pellegrini?” è in effetti la domanda che rivolge, nel libro-documentario, Padre Isacco a Wahlen e Seidita: una domanda apparentemente semplice ma che fa scoccare nei due viaggiatori una scintilla nuova, una nuova dimensione di ascolto, che si rivela l’unico modo di mettersi davvero in contatto con i monaci.

Le storie

C’è, poi, Suor Paola che, ad esempio, ha trovato la sua nuova dimensione in un ex-essiccatoio di castagne nei dintorni di Saluzzo: dopo una vita insieme al marito e alle tre figlie, ha scelto la devozione, e ora offre il suo aiuto a giovani coppie e famiglie in difficoltà. Maurizio, invece, si propone come guida nell’entroterra della sua Calabria senza chiedere nulla in cambio.

Ma il contatto con il mondo esterno, al giorno d’oggi, non può non passare attraverso i social: per Frederic dell’Eremo di Sant’Ilarione, il ritmo della vita è scandito non solo da quello della liturgia delle ore, del suono della cetra, e dalla traduzione di testi filosofici, ma anche dall’appuntamento settimanale con Facebook. Frederic, infatti, ogni settimana pubblica una meditazione di dieci righe sul suo profilo personale. “Saranno al massimo dieci persone che la leggeranno”, puntualizza l’eremita, “ma non importa, purché serva a qualcuno”.

Il silenzio nel contatto con la natura

Secondo un altro protagonista di Voci dal silenzio, Fra Cristiano, “non c’è maestra migliore della natura”. La natura insegna a vivere secondo i suoi ritmi, sia quando ci è a favore sia quando, apparentemente, ci è contro, in una chiara e inevitabile visione antropocentrica. Tra le bellezze della vita in un eremo di montagna c’è quella di poter vivere questi luoghi: approfittare delle belle giornate per passeggiare ascoltando, per esempio, i suoni del bosco e degli animali che lo abitano. Ma talvolta c’è anche l’avversità: Fra Cristiano ricorda l’alluvione di Genova e il terribile senso di impotenza di fronte allo scagliarsi impetuoso della natura sull’opera umana. L’essere umano, sottolinea l’eremita, si crede dominatore della natura, ma al cospetto delle catastrofi naturali deve imparare da lei la più importante delle lezioni: il rispetto.

L’esploratore e scrittore Erling Kagge questa lezione la conosce perfettamente: primo uomo ad aver raggiunto in solitaria e senza contatto radio il Polo Sud, ha esplorato anche il Polo Nord con gli sci e ha scalato il Monte Everest. Nel suo libro Il silenzio, Kagge si misura con il significato di questa parola, ricercandolo nei suoi trascorsi e regalandoci 33 brevi risposte. Se gli eremiti d’Italia si confrontano con una natura e un silenzio che tutto sommato ci sono familiari, l’esploratore norvegese ha incontrato il “grande nulla bianco”, che l’ha posto di fronte a uno dei silenzi che più ci spaventa: la solitudine.

Il silenzio nella solitudine con se stessi

Se per Suor Paola il silenzio conduce alle parti più profonde del nostro io, Kagge spiega invece il silenzio che abbiamo dentro di noi. Assordati dal trambusto delle nostre vite quotidiane, fatte di impegni, corse frenetiche e menti affollate, l’idea di rimanere da soli con noi stessi ci terrorizza: l’abbiamo sperimentato durante il lockdown, quando pur di non rimanere soli con i nostri pensieri ci siamo cimentati nelle più svariate attività. Secondo Kagge, questo si traduce in un “essere presenti nel mondo e al contempo non esserlo”. Se, invece, vogliamo comprendere a fondo la vita, secondo Kagge, dobbiamo trovare la forza di mettere a tacere le voci, sia quelle interne che quelle esterne. Chiudere il mondo fuori non significa voler ignorare ciò che ci circonda, ma anzi volerlo vedere con maggiore chiarezza, amare la vita. Per farlo non serve certo andare al Polo Sud: basta avere il coraggio di prenderci una pausa, renderci “non accessibili”, rimanere in silenzio ascoltandolo.

Il segreto principale, per Kagge come per Wahlen e Seidita, è la meraviglia: salvaguardare la nostra capacità di meravigliarci del mondo che ci circonda, superando la paralisi iniziale di fronte alla nostra finitezza, al nostro essere nulla. La meraviglia, forse, è la sola risposta alla domanda “Che cos’è il silenzio?”.