Ormai sappiamo bene che l’attuale governo guidato dall’estrema destra di Giorgia Meloni non ha nessuna intenzione di valutare l’idea della carne coltivata. Le motivazioni addotte negli ultimi due anni sono farraginose e spesso illogiche, prima fra tutte quella di un “principio di precauzione” che dovrebbe essere applicato – cosa impossibile – ad un alimento che non esiste. Quello a cui stiamo assistendo è una semplice battaglia ideologica con due fronti aperti: da una parte rassicurare il comparto agricolo, forte sostenitore del Governo, e dell’altro rassicurare quella parte della cittadinanza che alle parole “carne coltivata” (o meglio “carne sintetica” come viene chiamata in modo scorretto) storce il naso come farebbe (e forse già fa) con i piatti etnici o tutto ciò che non conosce e, quindi, non capisce.
Eppure l’Italia tutta non è il suo governo, ed ecco che un gruppo di ricerca dell’Università di Torino ha dato il via ad un progetto proprio sul tema della carne coltivata, CultMeat, che proprio grazie ai liberi cittadini sta raccogliendo fondi per dimostrare che questo tipo di prodotto può diventare una risposta ai problemi di approvvigionamento proteico che il mondo dovrà affrontare in un futuro per nulla lontano. Scalabile, economicamente sostenibile, sicura: la carne coltivata deve essere studiata per poterla comprendere e poi sfruttare, soprattutto non dimenticando un punto, quello di puntare alla liberazione animale dato che da un singolo prelievo di sangue o di tessuto muscolare su un animale vivo e vegeto, è possibile trarre tutto quello che serve.
Ecco cosa ci ha raccontato la dottoressa Marilù Casini, ricercatrice e divulgatrice scientifica Laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche all’Università di Firenze che collabora al progetto insieme a Francesca Amodeo, Francesca Tiziana Cannizzo (dipartimento di Scienze Veterinarie), Luca Lo Sapio (dipartimento di Filosofia), Sveva Bottini e Alessandro Bertero (Molecular Biotechnology Center).
Prima domanda: al posto dei medium di crescita per le cellule, che cosa verrà utilizzato? Perché uno dei punti “ostici” della carne coltivata è la possibilità dell’utilizzo di siero fetale bovino o medium di crescita che, in ogni caso, vengono dagli animali…
Nel nostro medium di crescita utilizziamo zuccheri, amminoacidi, grassi ed altre sostanze nutritive ma tutti di derivazione vegetale. Inoltre grazie alle tecniche di evoluzione assistita (TEA) siamo anche in grado di mantenere, espandere e differenziare le cellule staminali senza l’utilizzo di FBS (fetal bovine serum). Per cui nessuna sostanza di origine animale viene utilizzata per lavorare con le nostre cellule.
Non siete l’unica realtà in Italia da occuparsi di ricerca sulla carne coltivata, c’è anche BrunoCell (abbiamo parlato con loro nel numero di dicembre 2022 del nostro mensile, Vegolosi MAG). In che rapporti siete?
Con BrunoCell abbiamo ottimi rapporti di collaborazione scientifica: è l’unica altra realtà italiana sulla carne coltivata, tant’è che hanno deciso di supportare la nostra iniziativa come sponsor oro. Ci teniamo comunque a sottolineare che questa (come quella degli altri sponsor) è solo una donazione e non un investimento. E che non abbiamo conflitti di natura finanziaria con BrunoCell.
Qual è la vostra posizione circa l’atteggiamento dell’attuale governo rispetto al tema della carne coltivata e che “clima” state trovando invece nel paese a riguardo?
Abbiamo descritto nei nostri articoli nella letteratura scientifica la nostra posizione critica sulla legge italiana, ci auguriamo che il Parlamento italiano riconosca l’importanza di fidarsi del processo scientifico, tecnico, sociologico e umanistico, piuttosto che imporre un divieto miope. Sul fronte consumatori, i sondaggi svolti dal gruppo FEAT (Future of Eating), con cui collaboriamo, confermano che c’è una grande frazione di consumatori interessati. Chiaramente è responsabilità della stampa promuovere una comunicazione che informa e non divide, mettendo in connessione gli esperti con il pubblico così che si possano formare opinioni prive di pregiudizi. Noi stessi, nel nostro piccolo, sui social media e durante eventi divulgativi abbiamo avuto una risposta molto positiva da parte dei cittadini, a conferma dello studio fatto dai nostri collaboratori.
Perché la carne coltivata merita attenzione e fondi?
Secondo studi demografici, la popolazione è in aumento esponenziale e, con questa, la richiesta di carne. Proiettandosi nel 2050 con l’attuale produzione di carne da allevamento, non sarebbe possibile produrre carne per tutta la popolazione. In primo luogo perché i terreni non saranno abbastanza da produrre cibo per gli animali da allevamento. Situazione a cui va aggiunto il fenomeno del cambiamento climatico. Per cui abbiamo bisogno urgente di proteine alternative che possano entrare nella dieta delle persone, e la carne coltivata è una di queste.
Qual è l’obiettivo ultimo che vi ponete?
Il nostro obiettivo a breve/medio termine è dimostrare che la nostra tecnologia può permettere la coltivazione di carne in maniera sostenibile e scalabile dal punto di vista economico, così da contribuire a colmare la crescente richiesta di proteine animali e contestualmente diminuire le pressioni negative sull’ambiente. La ricerca Universitaria ha l’obiettivo di creare risultati di cui tutti possono beneficiare, per cui saremmo lieti di poter mettere a disposizione questa metodica a tutte le ditte attive nel settore per permettere loro di raggiungere i loro obiettivi produttivi. Gli investimenti necessari ad arrivare alla produzione sono fuori portata e non sono nemmeno lo scopo dell’Università, ma speriamo che anche in Italia si possano sviluppare realtà per valorizzare la nostra ricerca e saremo certamente in prima fila per permettere questo obiettivo a lungo termine.