Oggi parliamo di una storia americana, quella di Bryant Terry, eco-cuoco vegan, e del mondo afroamericano che lo circonda, una storia di diritti e realtà non sempre rispettate.
Bryant si laurea con lode in inglese alla Xavier University of Louisiana. Si trasferisce dopo poco a New York per frequentare la scuola di specializzazione in Storia presso la New York University. Dopo aver ottenuto il Master, si iscrive nel programma di formazione per chef presso l’Istituto naturale per la salute e la Culinary Arts a New York City.
Nel 2001 fonda “B-Healty”, un’iniziativa della durata di cinque anni, pensata per aiutare i giovani americani nell’ambito della giusta e sana alimentazione. Partendo da questo progetto, per Bryant si aprirono un varietà di possibilità utili nel propagare il proprio concetto di alimentazione vegan e bio, anche nel mondo politico. Acquisisce infatti il ruolo di ambasciatore per “People’s Grocery”, società attiva nel commercio locale e sostenibile nella comunità afro del West Oakland, e più tardi diventa un consulente alimentare per la fondazione “Wk Kellogg”, anche’essa impegnata nel campo dell’informazione in materia di salute e istruzione per i bambini afro.
In una recente intervista apparsa su “VegNews”, lo chef parla dei suoi sforzi per dare una risposta alla crisi sanitaria che nella comunità afroamericana è connessa all’alimentazione con l’utilizzo di alimenti integrali tradizionalmente usati nella cultura alimentare afro. Astenersi dall’uso di animali per il cibo, per l’abbigliamento, per il divertimento o per la ricerca è sempre stato dipinto come una scelta radicale di vita. Coloro che decidono di sposare tali principi vengono messi spesso in disparte senza che vengano così rispettate le loro scelte e i loro diritti, soprattutto nella comunità afro. Un soggetto vegano di colore non riceve le stesse attenzioni dedicate agli altri membri della comunità in cui decide di vivere.
L’obiettivo primario di Bryant, come attivista e chef, è quindi quello di affrontare la crisi sanitaria aiutando la sua gente attraverso la riscoperta di una dieta tradizionale a base di verdure, legumi ricchi di proteine e frutta. “Abbiamo semplicemente bisogno di guardare indietro e abbracciare le abitudini alimentari di molti dei nostri antenati senza andare molto lontano, appena un paio di generazioni fa”, spiega Bryant. “Per migliaia di anni le tradizionali diete dell’Africa occidentale e centrale sono state prevalentemente vegetariane a base di miglio, riso, piselli, peperoncino e patate dolci e altri alimenti vegetali definendo così il cibo della cultura africana perfettamente salutare”.
Ritroviamo gli stessi principi in “Afro-vegan”, il libro in cui Bryant rielabora e remixa i suoi ingredienti preferiti e piatti classici della cultura africana e li presenta in maniera del tutto nuova e con combinazioni culinarie creative in grado di stupire i vegani, i vegetariani e gli onnivori. Come primo passo per espandere la conoscenza di questa cultura alimentare, c’è l’attivismo di base: coinvolgere le persone a preparare e a cuocere il cibo che verrà poi condiviso tra i membri della comunità con l’aggiunta di una formazione di base riguardo gli alimenti salutari, che aiutano a prevenire malattie derivanti dalla cattiva alimentazione.
Un messaggio di lotta per i propri diritti, non solo politici, ma anche a livello di buona alimentazione.
Francesca Paolillo