Quattro anni di riprese in giro per il mondo per testimoniare quanto è stato profondo e, in molti casi, devastante, l’impatto dell’uomo sulla Terra negli ultimi 100 anni. Arriva in questi giorni nei cinema italiani “Antropocene. L’epoca umana”, il documentario già definito un “viaggio visivo senza precedenti”. Realizzato a più mani dal fotografo Edward Burtynsky e dai registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, il film racconta, combinando ricerca scientifica, arte, cinema, fotografia e realtà virtuale, la nuova era geologica definita dell’impronta umana.
Il film è, infatti, la descrizione, attraverso la potenza delle immagini, dell’antropocene, ovvero di quella “fase nella scala geologica – racconta il trailer – nella quale l’uomo ha portato il Pianeta oltre i suoi limiti naturali” con una “forza dominatrice” che potrebbe comportare un “cambiamento potenzialmente catastrofico su scala planetaria”. Un documentario, narrato nella versione italiana dalla voce di Alba Rochwacher, che rientra all’interno di un più vasto progetto multidisciplinare al quale fa capo anche la mostra in corso in questi mesi alla Fondazione MAST di Bologna “The Anthropocene”.
Un’esperienza provocatoria
Terzo documentario della trilogia dopo “Manufactured Landscapes”, del 2006, e “Watermark”, del 2013, il film segue le ricerche di un gruppo internazionale di scienziati, il team di lavoro Anthropocene, e le tesi che hanno portato a definire l’avvio, a partire dalla metà del XX secolo, di una nuova era, quella nella quale “gli esseri umani non sono più solo dei partecipanti alla vita sul Pianeta, ma sono una forza dominatrice sugli oceani, il paesaggio l’agricoltura, gli animali” (antropocene dal greco anthropos, uomo, appunto).
“All’incrocio tra arte e scienza, ‘Antropocene. L’epoca umana’ – spiegano gli autori – è testimone in senso esperienziale e non didattico di un momento critico nella storia geologica, fecendo vivere un’esperienza provocatoria e indimenticabile di quella che è la forza dell’impatto della nostra specie sul Pianeta”.
Lungo 87 minuti, il documentario è stato girato in 20 diversi Paesi con le più avanzate tecnologie cinematografiche, che raccontano, tra le altre cose, le dighe in cemento che coprono il 60% della costa continentale cinese, le grandi macchine terrestri mai costruite in Germania, le miniere di potassio psichedeliche negli Urali russi, i surreali stagni di evaporazione del litio nel deserto di Atacama e la nostra Venezia, a rischio sparizione per l’innalzamento del livello del mare.