Per la nuova puntata di questo speciale dedicato alle riflessioni sul tema del veganesimo, Vegolosi.it ha il piacere di ospitare Annamaria Manzoni, psicologa e psicoterapeuta che ha affrontano in molte suoi libri il tema della scelta vegana anche in relazione al comportamento umano, alla violenza fisica e verbale nonché al rapporto fra vegan e comunicazione nel nostro paese. Fra i suoi libri ricordiamo “Sulla cattiva strada” e “In direzione contraria” entrambi editi da Edizioni Sonda. Ecco la sua riflessione realizzata per il nostro magazine online.
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A cosa serve essere vegani ? Così posta, la domanda risulta insolita e spinge a spostare il focus dell’attenzione dal piano della motivazione, vale a dire dalla sfera etica, che è quella d’elezione per un veganesimo che non sia modaiolo, salutista o di passaggio, al piano utilitaristico, per altro imprescindibile nelle nostre scelte, anche quelle apparentemente più generose. Quindi la questione si sfronda dalle implicazioni più altruistiche, e si interfaccia con la concretezza del “chi ci guadagna”. E si scopre che siamo in tanti a farlo.
Per cominciare, risulta persino pleonastico ricordare le ricadute sull’ambiente, l’uso e l’abuso delle risorse, la salvaguardia dei territori, argomenti ormai entrati in un patrimonio di conoscenze diffuse. Di certo non mangiare prodotti animali serve agli animali: per quanto questa sia realtà rimossa, negata, svilita a non-problema da chi “tanto io di carne ne mangio poca” e dimentica le dimensioni di quel poco moltiplicato per i giorni di una vita, l’essere vegano anche di un solo individuo serve eccome in termini di numero di animali a cui non verrà sottratta la vita.
Serve soprattutto a definire i contorni di una ideologia, a definire in quale mondo si vuole vivere: l’alimentazione carnista, con la sua ininterrotta e ubiquitaria macellazione a catena di montaggio, fa della nostra terra, e delle nostre acque, un immenso mattatoio: ad alcuni il compito di uccidere a tutti gli altri quello di goderne i frutti. Serve al mondo allora per salvarsi da una contaminazione cruenta di tutte le forme del vivere.
Essere vegani, ancora, serve a chi lo è: chi pensa pensieri di giustizia, rispetto, pacifica convivenza, con il veganesimo trasforma le proprie convinzioni in azioni quotidiane. Un progetto quale quello implicito nella liberazione animale contiene elementi drammaticamente utopistici, di certo nel breve termine, e di conseguenza portatori di una frustrazione, che facilmente sconfina in una sorta di pessimismo cosmico e di annichilimento.
Rifiutare di essere passivo spettatore di ingiustizie e scegliere caparbiamente di opporsi a ciò che pure pare ineluttabile stato delle cose trasforma il dolore in una protesta attiva che si autoalimenta e trova forza nella condivisione. Anche a questo serve essere vegani: a comporre al proprio interno uno stato di equilibrio tra pensiero e azione, convinzioni e comportamenti, e a costruire progressivamente un atteggiamento capace di trasformare un grande ideale in pratica quotidiana: dicendo quel “no”, che è la parola più efficace che ci sia nella trasformazione di questo mondo.