Paperino, Spiderman, il Re Leone, il mostro di Loch Ness sono solo alcuni esempi di quanto gli animali abbiano sempre costituito una fonte di ispirazione per l’essere umano che, sedotto ma spesso anche intimidito dalla natura ferina, ha cercato di immortalare gli animali in un immaginario fantastico o di soggiorgarli piegandoli ai suoi bisogni. Facciamo, allora, un viaggio alla scoperta del rapporto tra uomo e animale, da sempre compagni di un cammino comune, che talvolta li ha visti avversari e talvolta fratelli.
Una storia antichissima
“Gran parte dell’immaginario dell’essere umano è abitato dalle altre specie”. L’etologo Roberto Marchesini, in una conferenza tenutasi a Firenze qualche anno fa, spiegava come da sempre gli animali abbiano esercitato un grandissimo fascino sull’uomo. Ne sono un esempio pitture rupestri, supereroi zoomorfi come Batman e Spiderman, costellazioni e zodiaco, musica e balli tradizionali. Basti pensare alla danza dei Masai, che è ispirata alla danza di corteggiamento delle gru coronate o allo zufolo, uno dei primi strumenti musicali, che si rifà alla siringe, organo vocale che permette agli uccelli di modulare il suono. Le ragioni di questo fascino sono da ricercare nella notte dei tempi, quando la storia dell’uomo e quella degli animali hanno iniziato a intrecciarsi tra loro.
Dai dipinti rupestri alla violenza
È significativo come l’uomo, prima ancora di rappresentare se stesso, abbia riprodotto le altre specie. Le pitture rupestri, infatti, la prima arte umana, sono tutte fondate sugli animali. Pensiamo alle grotte di Lascaux, in Francia, quando più di 17mila anni fa i nostri antenati iniziarono a dipingere sulle pareti un vero e proprio bestiario di oltre 500 animali, tra cui bisonti, cervi, vacche e uri, ovvero tutte quelle creature misteriose e spesso spaventose che minacciavano il loro benessere o che, al contrario, erano vittime della loro caccia. Se allora, però, gli animali avevano ancora un carattere di ineffabilità agli occhi dell’uomo, con la rivoluzione agricola la situazione cambiò. Come spiega lo storico Yuval Noah Harari nel suo saggio Sapiens. Da animali a dèi (Bompiani, 2014), circa 10mila anni fa si passò dalla caccia (mai del tutto abbandonata) alla domesticazione di pecore, asini e polli che fornivano all’uomo cibo, materie prime e forza muscolare. Iniziò così lo sfruttamento animale e l’instaurarsi di nuovi rapporti di potere che ponevano l’uomo al di sopra delle altre specie. Con il passare dei secoli, con l’affermarsi dell’antropocentrismo, fino ad arrivare ai giorni nostri, l’allevamento non ha fatto altro che incrudelirsi, fondandosi su pratiche sempre più brutali e relegando gli animali non a soggetti senzienti in grado di provare desideri e dolore, ma a oggetti da sfruttare secondo i propri fini.
Serpenti demoniaci e lupe generose
Lo studioso Michel Pastoureau, nel suo Animali celebri (Giunti, 2010), illustra come l’animale rientri “in tutte le grandi indagini della storia sociale, economica, materiale, culturale, religiosa e sim- bolica” ed è sempre presente, in tutte le epoche e in tutti i documenti, riempiendo l’immaginario umano di creature fantastiche e mitologiche. Nella grande storia dell’umanità gli animali hanno svolto ruoli di primo piano, diventando, per la loro natura inafferrabile e misteriosa, l’incarnazione di forze demoniache o, al contrario, di creature salvifiche e generose. Il serpente della Genesi e simbolo di Satana che offre il frutto proibito a Eva, è probabilmente il rettile più famoso di tutti i tempi. Il topos del serpente malvagio, lungi dall’essere un’invenzione della Bibbia, è comune a molte culture, che gli attribuiscono una natura ambivalente, incarnando sia i vizi e il desiderio carnale sia intelligenza e scienza.
Nel saggio Gli animali nella storia della civiltà (Odoya, 2017), lo scrittore Morus spiega che l’uomo è affetto da un complesso di inferiorità nei confronti delle altre specie, e quindi “vuole appropriarsi di quelle prerogative degli animali che a lui mancano” assorbendole completamente. Pensiamo, per esempio, alla mitologia greca, che ha tratto molto del suo simbolismo animale dagli antichi culti orientali. Il Minotauro, essere mostruoso per metà toro e per metà umano, frutto dell’amore contro natura tra la regina Pasifae e un toro bianco, racchiude in sé non solo il culto del toro, simbolo di fertilità e forza già nelle culture protostoriche ma la sua morte per mano di Teseo rimanda alle leggende dell’Antica Mesopotamia secondo cui, uccidendo un toro, era possibile assorbire il suo vigore e la sua potenza sessuale.
La storia è anche ricca di animali salvifici, che si rivelano aiuti preziosi per l’uomo, pensiamo alla lupa che, secondo la leggenda, allattò Romolo e Remo o alle oche del Campidoglio, che salvarono i Romani dai Galli, o al bue e all’asinello da sempre rappresentati nell’iconografia della nascita di Gesù. Durante il Medioevo poi si diffusero numerose credenze su creature fantastiche, per lo più derivate dal paganesimo. Accanto ad animali magici e “positivi” come l’unicorno, esistevano molti esseri mostruosi, come sirene, basilischi e i celebri draghi. Se in Oriente il drago era considerato un simbolo di buona fortuna, in Occidente il cristianesimo lo definì un’incarnazione del diavolo citato sia nell’Apocalisse sia in molte leggende (la più famosa è quella di San Giorgio che sconfigge il drago, che rappresenta il trionfo della fede sul Maligno).
Tra mostri marini e orsetti di peluche
E oggi? Ai giorni nostri il rapporto tra uomo e animali è più complesso che mai. L’uomo ha operato una divisione netta tra “animali da reddito”, da sfruttare nei macelli o nei laboratori di vivisezione, e “animali domestici”, che invece vivono al suo fianco. Nell’introduzione al libro Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche della psicologa Melanie Joy,
sempre Harari scrive che “miliardi di animali con un ricco mondo di sentimenti, emozioni, sensazioni, bisogni e paure trascorrono le loro vite come macchine per la produzione di carne, latte e uova nelle catene di produzione industriale”,
Eppure, persino nell’epoca delle scoperte scientifiche, della razionalità e dell’antropocentrismo, non riusciamo a smettere di guardare agli animali come a fonti inesauribili di ispirazioni e leggende. Pensiamo a Nessie, il celebre mostro che abiterebbe nel lago di Loch Ness in Scozia. Fece la sua prima apparizione ufficiale nel 1933 e da lì in poi fu un continuo fiorire di avvistamenti e strane visioni. Emersero addirittura dei documenti che segnalavano la presenza del mostro già nel XVII secolo. Realtà o isterismo collettivo? Come suggerisce Pastoureau, “l’im- maginario non è affatto contrapposto alla realtà: fa parte della realtà” e come tale deve essere studiato. Il fatto che queste credenze perdurino deve costituire il punto di partenza di una riflessione. Forse, pur sapendo che “i mostri non esistono”, abbiamo ancora bisogno di credere in Nessie, nello Yeti o nelle piovre giganti, creature fisiche spaventose che incarnano il male contro
cui possiamo incanalare le nostre paure e le nostre ansie.
Non vanno dimenticati, poi, tutti i cartoni animati zoomorfi, da Topolino al Re Leone, dagli Aristogatti a Peppa Pig, con cui continuiamo a farcire l’immaginario dei bambini. Chi non ha mai posseduto un orsacchiotto di pezza quando era piccolo? Il celebre Teddy Bear nacque agli inizi del Novecento e deve il suo nome al presidente Roosevelt (soprannominato per l’appunto “Ted- dy”), che durante una battuta di caccia si rifiutò di sparare a un orso bruno. Primo compagno e amico di ogni bambino, depositario di odori e segreti, l’orsetto è confidente e angelo custode dei più piccoli. E a volte anche dei grandi. Sembra infatti che nel 1969, quando Neil Armstrong volò verso la luna, ci fosse un orso di peluche a tenergli compagnia.
Dopo millenni passati insieme, gli animali continuano a esercitare un fascino incredibile sugli uomini e, anzi, la loro natura ineffabile e misteriosa li rende fin troppo potenti e spaventosi. Questo terrorizza gli esseri umani, che troppo spesso decidono di soggiogarli distruggendo la loro identità e i loro bisogni. Eppure, Paperino, Batman, Bigfoot ci ricordano che gli animali sono sempre nei nostri pensieri. Peccato non nella nostra coscienza.
Articolo di Francesca Isola