I trilioni di dollari, forse, non sappiamo nemmeno come si scrivono in cifre, ma la Farm Animal Investment Risk & Return sa come spenderli: a favore di un’industria alimentare senza sfruttamento animale. Al di là della questione etica, la scelta di un’alimentazione 100% vegetale può essere vantaggiosa anche dal punto di vista ambientale ed economico. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che 40 investitori finanziari hanno puntato, investendo il proprio capitale collettivo di 1,25 trilioni di dollari, per incoraggiare 16 multinazionali dell’alimentazione a investire nella produzione di alimenti vegani. Tutte le aziende intenzionate a orientare la propria produzione verso la scelta vegan (ad oggi 71) sono riunite nella FAIRR (Farm Animal Investment Risk & Return), società che – come si legge sul sito ufficiale – nasce perché “i suoi membri credono che sia emerso un divario di conoscenza preoccupante tra gli investitori in relazione ai rischi di investimento e le opportunità connesse all’allevamento intensivo e agli esigui standard di benessere degli animali”. La volontà degli investitori, in sostanza, è quella di spostare i capitali su produzioni che non coinvolgano animali e il loro sfruttamento.
Jeremy Coller, fondatore dell’iniziativa FAIRR ha dichiarato all’agenzia Reuters: “L’eccessiva dipendenza del nostro sistema economico dai prodotti provenienti dall’allevamento intensivo a causa di una domanda sempre più alta è la ricetta perfetta per la crisi economica, sociale e ambientale“. Parole decisamente dure che aprono uno squarcio importante nel velo, ormai sempre più sottile, che divide la finanza e i mercati dalla realtà delle conseguenze di un metodo di produzione che non è mai stato sostenibile, in primo luogo a livello economico.
Da dove arriva questa scossa sismica nel mondo dell’economia? Da considerazioni in parte economiche e in parte legate a scenari futuri non certo troppo roesei. Uno studio dell’Università di Oxford – riporta sempre Reuters– che ha detto 1.5 miliardi di dollari in costi sanitari e lagati ai cambiamenti climatici legati potrebbero essere risparmiate entro il 2050 se le persone riducessero la dipendenza da carne nella loro dieta. La FAIRR ha contattato tutte le principali aziende del mondo del food, ma per il momento solo alcune si sono dette interessate a prendere parte a questa iniziativa, fra di loro la Nestlé che all’agenzia di stampa ha spiegato: “Non abbiamo mai usato molta carne nei nostri prodotti, ma in questo caso il nostro obiettivo potrebbe essere di investire del trovare ingredienti alternativi a quelli di origine animale per sviluppare nuovi prodotti”. I grandi colossi muovono passi lenti, ma pesanti forse perché le previsioni di mercato citate da Coller sono decisamente incoraggianti: “Il mercato delle proteine di origine vegetale crescerà del 8,4 per cento all’anno per i prossimi cinque anni”.
E mentre la FAIRR muove le prime pedine sulla sua scacchiera, la Tyson Foods, colosso americano dell’industria della carne statunitense, acquista il 5% della società Beyond Meat, fra i cui investitori c’è anche Bill Gates: loro lavorano da tempo alla creazione di prodotti alternativi alla carne, completamente a base vegetale. Negli Usa i loro burger sono leggendari e la Tyson lo sa. Qui parliamo di finanza, non di etica, va chiarito e c’è chi non vedrà di buon occhio che un’azienda leader nel settore dell’allevamento intensivo metta le mani nel vaso della marmellata senza carne, ma tant’è: buisness is buisness.