Un gesto semplice può diventare un’esperienza culturale: Agnese Zgraggen, artista e cuoca, ne è un fulgido esempio. Quando era una studentessa d’arte, lavorava nelle cucine per mantenersi. Un giorno, ama raccontare, si è accorta dell’artisticità di alcune bucce di verdura: le forme, i colori. Da allora è iniziato il suo percorso, portato avanti nel nome di un connubio sempre più stretto tra arte e cucina. Crea stagni con le gelatine di barbabietole, animali di polenta o crocifissi di zucchero che attirano le formiche: dà vita ad arte effimera, destinata a perdersi. “Il processo di abbandonare l’opera a se stessa mi affascina molto” racconta in una video-intervista rilasciata a RSI (Radiotelevisione Svizzera in lingua Italiana), con sede a Lugano.
Una delle sue opere, Collana di Barbabietola su Corpo di Terra, sembra proprio una riflessione sul tema della morte: per realizzarla, si mescolano terra e amido di riso, impastati come in una torta. “Se qualcosa finisce a volte è difficile accettarlo perché può anche fare male… Ma se si ‘definisce che finisce’, è come se si fosse pronti a vedere questa fine, a lasciare andare…”.
Il libro
I piatti più interessanti della nostra tradizione gastronomica, forse, sono nati quando la fame era all’ordine del giorno. Agnese, nel libro La Fame, domanda a se stessa e ai suoi lettori: “Sappiamo ancora assegnare il giusto valore a un prodotto? Sappiamo preparare del cibo utilizzando solo le nostre mani?” Il libro prevede oltre 100 ricette per il gusto della sopravvivenza, realizzate con gli ultimi ingredienti rimasti sulla credenza, quando un parente bussa alla porta senza avvisare o quando si vuole sorprendere un caro: proprio come un tempo.
L’Officina del Gusto
Non solo cuoca e non solo artista: Agnese gestisce anche l’Officina del Gusto, un laboratorio creativo di ricerca culinaria con sede a Locarno. Lo spirito della struttura è quello di collaborare con piccoli produttori e commercianti locali per garantire la qualità del cibo e il rispetto dell’ambiente.
Il lato popolare dell’artista
C’è un altro modo, però, che Agnese coltiva per riconciliarsi con le tradizioni di un tempo: va al mercato a vendere le sue zuppe a chilometro zero. E lo fa con un carretto d’altri tempi, ispirato a quello dei primi venditori di caldarroste. Lo slow food, dice, “è un movimento elitario: non può essere raggiunto da tutti. Quindi vado io da loro per renderlo accessibile”. E sono tanti, in effetti, quelli che si fermano per acquistare, fotografare o carpirne visioni e segreti: solo così, con gli attestati di stima della gente, un gesto semplice può diventare un’esperienza culturale.
Yuri Benaglio