Buona, controllata, meno cara, più “comoda”, e volendo, anche calibrata sul gusto personale. Soprattutto, meno dannosa per l’ambiente. È l’acqua del rubinetto, una delle migliori in Europa per potabilità quella del nostro Paese, eppure snobbata dalla maggior parte degli italiani, che continuano a optare per quella in bottiglia. Colpa anche della scorsa informazione sulle peculiarità e la salubrità dell’acqua che sgorga dai nostri rubinetti. Dati alla mano, cerchiamo allora di capire quali sono le principali caratteristiche dell’”acqua del sindaco”, cosa la differenzia da quella in bottiglia e perché preferirla sia oggi la scelta di gran lunga più sostenibile per l’ambiente e per il portafogli, oltre che la più pratica.
L’anomalia italiana
Così la chiamano gli esperti del mondo dell’acqua parlando delle abitudini di consumo nel nostro Paese: “un’anomalia tutta italiana”. Pur avendo a disposizione un’acqua di acquedotto di buona qualità e a prezzi contenuti, gli italiani preferiscono inspiegabilmente la più costosa acqua in bottiglia. Per la precisione, secondo la ricerca su “La propensione al consumo di acqua del rubinetto in Italia 2018”, realizzata da Open Mind Research per Aqua Italia, un italiano su tre dichiara di non bere mai acqua dal rubinetto, soprattutto al Sud Italia (il 44% quelli che la bevono sempre). Negli ultimi 4 anni la quota è cresciuta di un buon 10%, ma
il nostro Paese si conferma il primo in Europa (secondo al mondo, dopo il Messico) per il consumo di acqua in bottiglia, principalmente di plastica, con un consumo procapite di circa 206 litri annui.
L’impatto ambientale dell’acqua in bottiglia
Non siamo certamente gli unici: ogni minuto nel mondo viene acquistato 1 milione di bottiglie di acqua in plastica. Un dato che le stime calcolano destinato a crescere del 20% da qui al 2021. Con effetti pesantissimi sull’ambiente: secondo i dati del Pacific Institute, sono stati 2,5 i milioni di tonnellate di CO2 immessi in atmosfera a causa dell’acqua in bottiglia solamente nel 2006 (in riferimento al mercato americano), con 3 tonnellate di anidride carbonica emessa per ogni tonnellata di pet prodotta per contenerla. Tre sono gli ambiti di impatto ambientale legati all’acqua in bottiglia:
- produzione: secondo i dati del dossier di Legambiente e Altroconsumo “Acqua in bottiglia 2018”, solamente in Italia sono stati 14 miliardi i litri di acqua imbottigliati nel 2016 (erano stati 12 miliardi nel 2010), di cui oltre il 90% destinato al nostro Paese e circa il 95% imbottigliato in contenitori di plastica. Numeri che corrispondono a oltre 8 miliardi di bottiglie di plastica consumate in un anno dagli italiani con un dispendio elevatissimo di petrolio, se si considera che la produzione di plastica costituisce il 6% del consumo globale di petrolio;
- trasporto: l’80% delle bottiglie imbottigliate in Italia viene trasportata su gomma fuori dalla Regione di imbottigliamento, con una quantità media di CO2 immessa nell’ambiente dai tir di 1300 kg ogni 1000 km. Tra produzione e asporto, il consumo procapite di acqua in bottiglia in Italia “costa” quindi circa 1 milione 165 mila tonnellate di CO2 (elaborazione dati Arpal);
- smaltimento: è la voce più nota legata all’impatto del consumo di acqua in bottiglia. In generale, è bene ricordare che mediamente a livello mondiale solamente il 15% della plastica usata viene riciclata, mentre il 60% è quella che finisce in discarica o dispersa nell’ambiente (il restante 25% finisce negli inceneritori). Per quanto riguarda nello specifico le bottiglie, dall’indagine “Beach Litter 2017” condotta sempre da Legambiente emerge che oltre l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge italiane tra il 2014 e il 2017 sono oggetti in plastica e che bottiglie e tappi ne rappresentano il 18%. Un quantitativo pari ad oltre 15mila bottiglie che finiscono in mare provocando danni enormi all’ecosistema marino.
Da questo punto di vista, risulta evidente che l’acqua del rubinetto non ha eguali in termini di sostenibilità ambientale.
Costo
Una delle principali differenze tra l’acqua di acquedotto e quella in bottiglia è il prezzo. Ci siamo di fatto abituati a dare per scontato il costo dell’acqua confezionata, eppure è sufficiente dare un occhio alla bolletta per rendersi conto di quanto acquistare acqua in bottiglia sia in realtà una scelta antieconomica. L’acqua che compriamo al supermercato costa infatti mediamente circa 30 centesimo al litro a fronte di una media di 1,5 euro per metro cubo (pari a mille litri) di acqua del rubinetto. A conti fatti, cioè, l’acqua in bottiglia può arrivare a costare 1000 volte di più dell’acqua di acquedotto.
Acqua controllata
Tra i motivi principali per i quali gli italiani bevono poco l’acqua del rubinetto ci sono sicuramente la necessità di avere maggiori garanzie sulla sua salubrità così come le note criticità strutturali degli acquedotti in diverse parti d’Italia, che incidono sia sulla regolarità degli approvvigionamenti che sulla qualità dell’acqua potabile. Lo evidenziano i dati della ricerca sul consumo d’acqua realizzata nel 2018 dall’Istituto di Ricerca Eumetra MR per Culligan, in collaborazione con Lifegate: oltre il 90% degli italiani è consapevole dell’impatto della plastica sull’ambiente e il 68% sarebbe pronto a passare all’acqua del rubinetto se solo avesse maggiori garanzia sulla sua qualità.
Bisogna, però, ricordare che l’acqua del rubinetto, così come quella in bottiglia, è sottoposta a rigidi controlli sulla base di specifiche normative, che differiscono per l’una e per l’altra acqua per quanto riguarda la concentrazione degli elementi disciolti ammessi e i trattamenti e i controlli ai quali sono sottoposte. Nello specifico:
- Il Decreto Legislativo 31/2001 è il testo di riferimento che, recependo la Direttiva Europea 98/83/CE, disciplina il campo delle acque potabili e definisce i parametri analitici ai quali un’acqua deve sottostare per poter essere definitiva potabile. Il Decreto 31 indica quindi quali devono essere le caratteristiche dell’acqua per “uso umano”, stabilisce i valori massimi delle diverse sostanze che possono trovarsi disciolte in acqua e fornisce i parametri di sanitizzazione, ovvero di utilizzo del cloro, in grado di garantire che l’acqua di acquedotto arrivi al contatore priva di contaminazioni. L’osservanza di questi parametri viene controllata sia dalle Asl che dalle aziende di gestione della distribuzione dell’acqua.
- Il Decreto Ministeriale 10/2/2015 è, invece, il testo di riferimento per le acque in bottiglia.
C’è da osservare che le due normative presentano delle differenze rispetto ad alcuni parametri relativi alla concentrazione ammessa di alcune sostanze, tanto che molti parametri, normati per le acque di rete, non hanno limite per le acque in bottiglie. L’acqua di rubinetto è, cioè, sottoposta a un disciplinare molto più rigido e restrittivo rispetto a quello delle acque in bottiglia. Ciò si spiega in base alla diversità di provenienza, di trattamento e trasporto delle due tipologie di acqua, ma è un dato che alcune acque in bottiglie, se fossero sottoposte alla normativa delle acque del rubinetto, non risulterebbero potabili (ad esempio perché con una concentrazione troppo alta di solfati che rischierebbe di intasare le tubature domestiche sul lungo periodo).
A proposito di indicazioni di legge, è bene ricordare che una sentenza della Cassazione del 2018 ha indicato come reato l’esposizione delle bottiglie di acqua al sole prevedendo sanzioni di 1500 euro per l’esercente che non conserva correttamente l’acqua in bottiglia. Quest’ultima, se esposta al sole e alle alte temperature, può infatti peggiorare la propria qualità per effetto della degradazione del pet delle bottiglie che la contengono.
La nuova Direttiva Europea
È al vaglio dell’Unione Europea una nuova Direttiva sull’acqua che punta a migliorare l’accesso e la qualità dell’acqua di rete riducendo così il consumo di bottiglie di plastica (-17% l’obiettivo stimato, pari a un risparmio di circa 600 milioni di euro per i consumatori europei). Nello specifico, la nuova Direttiva dovrebbe introdurre parametri più stringenti per la concentrazione nell’acqua soprattutto dei cosiddetti “inquinanti emergenti” non ancora normati, sostanze come gli interferenti endocrini, i Pfas, i cloriti e la legionella, pericolosi per la salute umana.
L’ultimo miglio
Fatti salvi i controlli effettuati sull’acqua di rete previsti dalla legge, bisogna però ricordare che la qualità dell’acqua del rubinetto secondo le indicazioni di legge viene garantita dal gestore della distribuzione fino al contatore. Di quello che in gergo viene definito “l’ultimo miglio”, ovvero il tratto di rete che porta l’acqua dall’ingresso nello stabile fino al singolo rubinetto è responsabile il proprietario dello stabile stesso o chi lo gestisce (come nel caso degli edifici pubblici). La qualità dell’acqua che esce dal rubinetto dipende, quindi anche da alcune accortezze che da consumatori spetta a noi adottare o sollecitare a chi di competenza, come gli amministratori di condominio. Parliamo di:
- manutenzione periodica delle tubature e degli impianti, soprattutto quelli di vecchia data;
- manutenzione e controllo delle vasche di accumulo dell’acqua, dove presenti;
- piccoli accorgimenti casalinghi per evitare le cosiddette “retrocontaminazioni”, come l’accurata pulizia del lavandino di casa e la sanificazione della spugnetta dei piatti, un vero ricettacolo di germi e batteri lasciati a proliferare nell’umidità che, di fatto, immettiamo poi nel circolo dell’acqua di casa.
L’acqua trattata al punto d’uso
Se l’acqua del rubinetto “non piace” c’è una terza opzione, quella del trattamento domestico, che permette di avere un’acqua più rispondente al proprio gusto e alle proprie necessità (ad esempio un’acqua “meno dura”, meno clorata o semplicemente gasata). È ciò che fanno quelli che chiamiamo comunemente “depuratori” e che, è bene ricordare, vanno ad agire sul gusto e su alcune caratteristiche organolettiche di un’acqua, quella del rubinetto, che, salvo espressi divieti, è già potabile e quindi sicura. Ne esistono di diverso tipo e trattano l’acqua in maniera differente a seconda delle necessità per filtrazione, osmosi inversa, addolcimento o addizionando CO2 (gasando, di fatto, l’acqua). Diffusissimi all’estero, i sistemi di trattamento domestico dell’acqua sono sempre più comuni anche in Italia: hanno un costo variabile, che rappresenta certamente un investimento a livello familiare, e richiedono un’attenta manutenzione periodica, ma rappresentano una delle alternative all’acqua in bottiglia.