Stringe come una morsa ma delicatamente e in modo lento il documentario “73 cows” del regista inglese trentenne Alexandre Lockwood. Quindici minuti così intensi, pieni di poesia e profonda speranza da lasciarti ko almeno per un’ora buona, quindi se volete vederlo, prendetevi del tempo.
La storia raccontata da questo piccolo gioiello è quella dell’ex allevatore di bovini, Jay Wilde, il primo in Inghilterra ad abbandonare il suo lavoro per riconvertire la sua attività in una azienda agricola completamente vegana che produce frutta e verdura. Le “sue” 73 mucche che danno il titolo alla storia, Jade le ha portate in un santuario, ce le ha accompagnate lui, ed insieme a loro ha percorso il prato sul quale ora staranno fino alla fine dei loro giorni: una scena che da sola vale il premio BAFTA, vinto dal giovane regista.
Quello di Jay era un piccolo allevamento, e forse anche grazie a questo il suo rapporto con gli animali era intenso, forte, un legame che lentamente diventava inconciliabile con il momento nel quale le mucche dovevano essere trasportate al macello per mandare avanti economicamente la fattoria. E’ stravolgente quanto e come muta lo sguardo di quest’uomo mentre racconta la sua storia e mentre affronta, ripercorrendola, la paura del cambiamento che diventa inevitabile, forza motrice che distrugge qualsiasi timore pur di non dover più affrontare lo sguardo di quegli animali che, racconta Jay “non riuscivo più a tradire “.
Il documentario, realizzato a budget zero, ha appena vinto un premio importante i British Academy Film Awards) come miglior cortometraggio ed è visibile gratuitamente sul sito del regista. Abbiamo chiesto lui di raccontarci alcuni dettagli di questa produzione:
Una storia incredibile quella di Jay…
E’ il primo film di cui vado profondamente orgoglioso e che non vedo l’ora di condividere con tutti così come gli altri progetti ad esso collegati. La storia di Jay Wilde è arrivata da me tramite mia moglie: sfogliando un giornale online lo ha scoperto, me ne ha parlato e da lì è nato tutto.
Come è andato il primo contatto con Wilde?
Molto semplice. Ho cercato di contattarlo su Facebook ed ero sinceramente convinto che mi avrebbe detto di no all’idea di realizzare un cortometraggio sulla sua storia. Eppure mi ha invitato ad andarlo a trovare, abbiamo parlato per ore e alla fine è andata come sappiamo.
Perché hai scelto questa storia?
Sentivo che Jay era un esempio di speranza in quello che sembra un mondo senza speranza. Sapevo che questo avrebbe avuto un grande impatto su persone di ogni estrazione sociale, indipendentemente da ciò che mangiavano e dalle sfide che si trovavano ad affrontare nella loro vita.
Questa storia ha avuto “effetti” anche su di te?
Sono vegano ormai da circa 8 o 9 mesi, ma è durante le riprese che sono diventato prima vegetariano. E’ stato il risultato di una maggiore comprensione dell’industria della carne e sul come vengono prodotti il latte e le uova. Quando si conoscono i fatti, è molto difficile liquidare il veganismo come una moda o una tendenza dietetica.
Qual è il messaggio che ti piacerebbe che passasse attraverso il tuo cortometraggio?
A prescindere da ciò che si sta attraversando nella vita, c’è una via d’uscita e che non è necessario che la propria vita sia determinata dalla propria cultura e tradizione se non lo si vuole. Da Jay, penso che tutti possano imparare un po’ di coraggio e cosa significhi esserlo di fronte alle avversità. Speriamo che la gente possa vedere cosa ha fatto Jay e portare un po’ di questo coraggio nella propria vita.
Credi che la tua vittoria ai BAFTA sia anche un segnale politico?
Io spero che sia il segno che i media stanno cambiando il loro punto di vista sulle questioni etiche. E’ molto importante che questo accada, soprattutto ora che ci troviamo di fronte alla crisi climatica. Il veganismo è stato sempre presentato come stravagante e pretenzioso dai media ma ora penso che la gente stia finalmente cominciando ad affrontare la realtà, ossia che il veganismo avrà un ruolo vitale nel modo in cui il nostro futuro si svolgerà.