Lavorare in modo “felice” si può. In tempi di “grandi dimissioni”, incertezze economiche e forti disorientamenti, una via la indica Chiara Bisconti nel suo Smart, agili, felici. Il nuovo modo di lavorare che libera la vita (Garzanti, 2022). La modalità suggerita è quella sulla quale ha riacceso i riflettori la pandemia: il lavoro agile, quello che più abitualmente ci siamo abituati a chiamare ormai smart working. Qualcosa, tuttavia – spiega Bisconti – di diverso e di più radicale del semplice “lavoro da casa”, ma che coincide piuttosto nella possibilità di organizzare il proprio lavoro, di concerto con l’azienda, con modalità spazio-temporali diverse rispetto a quelle che ci vogliono ogni giorno nel solito luogo per 8 o più ore consecutive.
Lo scossone della pandemia
Il lavoro agile non è certo una novità, come sa bene proprio Bisconti. Lei, ex manager di multinazionale e assessora al Comune di Milano ai tempi del sindaco Giuliano Pisapia, oggi consulente delle risorse umane, è stata nei decenni scorsi – in tempi, dunque, decisamente non sospetti – una delle pioniere dello smart working in Italia, come racconta proprio nel libro. Eppure, negli ultimi tre anni molte cose sono cambiate. “La pandemia ha dato sicuramente uno scossone molto forte: come davanti a ogni grande evento storico, ci si fanno delle domande, anche di natura esistenziale. Ma, forse, possiamo ricondurre la lettura di quanto sta accadendo nel mondo del lavoro anche a un livello più concreto e pratico”, analizza a proposito dei grandi movimenti in atto nel mondo del lavoro, dove aumentano le dimissioni volontarie (tra aprile e giugno del 2021, quasi 500mila, l’85% in più dello stesso trimestre dell’anno precedente, secondo i dati del Ministero del Lavoro) e sempre più le persone esprimono il bisogno di una conciliazione più sana tra i diversi tempi della vita.
“Se ci pensiamo bene – prosegue l’esperta HR – l’abbiamo toccato tutti con mano che c’è un modo molto utile, efficace e pratico per lavorare e vivere meglio. Che la vita può essere più semplice se evito di passare ore e ore nel traffico o sui mezzi pubblici, che da casa si lavora bene, si è molto produttivi e si conciliano meglio le esigenze lavorative con quelle personali. Che se posso evitare di prendere l’auto tutti i giorni, abbasso le mie emissioni risparmiando impatti energetici ed economici”. È quello che Bisconti definisce un vero e proprio “viaggio evolutivo che va a scardinare aspetti profondi dell’esistenza”: è la possibilità, che la pandemia ci ha permesso di sperimentare su larga scala, di adattare il modo di lavorare, nello spazio e nel tempo, alle esigenze personali di ciascuno di noi. Quello che, per quanto riguarda le professioni nei quali è applicabile, si chiama appunto “lavoro agile”. Chi l’ha provato, non intende tornare indietro, al punto di dare le dimissioni, se questa opportunità non viene più concessa.
Una questione generazionale e di valori (anche green)
Su queste dinamiche agisce sicuramente una componente generazionale. “La prima – evidenzia ancora Bisconti – interessa i giovani che si affacciano ora al mondo del lavoro e per i quali flessibilità e lavoro agile sono un prerequisito. Nel momento in cui non li trovano, hanno una volatilità a dare le dimissioni che i giovani di qualche generazione fa certamente non avevano. Questi ragazzi sanno che possono muoversi per il mondo e che il luogo nel quale si vive può non coincidere con quello del lavoro. Si accontentano meno e sono molto più orientati alla ricerca di soddisfazione: se lavorano in un contesto non soddisfacente, per loro dare le dimissioni è molto più semplice”. Poi, ci sono tutti gli altri, quelli che il lavoro “tradizionale” l’hanno conosciuto. E che, seppur con meno disinvoltura, pure si muovono sul mercato del lavoro all’insegna di un dinamismo prima impensabile.
Per gli uni e come per gli altri – è una delle altre grandi novità di questo periodo – la leva economica conta, ma non è più prioritaria. A sollecitare le persone, più che la busta paga più pesante, è spesso la ricerca di un maggior benessere psicologico e fisico. Le agenzie di job recruiting raccontano che oggi, in un posto di lavoro, si cercano, oltre alla flessibilità di tempi e spazi, occasioni di crescita personale e professionale, percorsi di formazione continua e un’identità aziendale ben definita e trasparente, un insieme di valori nel quale riconoscersi e al quale aderire. Per questo, per esempio, particolarmente attrattive risultano quelle realtà che incoraggiano l’inclusività e si impegnano nell’ambito della sostenibilità ambientale. Oltreoceano l’hanno già ribattezzata green work culture, ovvero una nuova cultura del lavoro nella quale le aziende puntano a coinvolgere i collaboratori attraverso iniziative orientate e ridurre gli impatti ambientali, rispondendo così alla sensibilità crescente delle persone verso questo tema.
La felicità formato smart working
Ed eccolo, allora, emergere in controluce dalle storie e della soluzioni applicabili che Bisconti racconta nel suo libro, quello stato di “felicità” legato al lavoro in modalità smart. “La più grande felicità che sento e che vedo espressa da chi fa lavoro agile – spiega Bisconti – è essere riconosciuti e visti finalmente come persone adulte, non più come risorse-oggetto, ma come soggetti responsabili che esprimono dei bisogni, che non sono contrari agli interessi dell’azienda ma solamente riconducibili a un’organizzazione diversa da sviluppare insieme. Negli anni – racconta ancora la consulente HR – ho toccato con mano grandissime infelicità, che tuttora esistono nelle aziende: quelle di chi non è capito e accolto nei propri bisogni, non riconosciuto nelle proprie potenzialità”. Poter concordare con la propria azienda quando e dove lavorare, rappresenta “un patto di fiducia profondo, che porta le persone a rimanere fedeli e a sentirsi parte viva di quell’organizzazione”.
Ma i “vantaggi collaterali” che impattano sulla felicità delle persone vanno oltre: “Sul piano individuale – prosegue ancora Bisconti – se posso organizzare meglio il mio tempo, eviterò quelle vite spezzate nelle quali ci sentiamo sempre tirati da una parte e dall’altra, posso mangiare e riposare meglio e in maniera più sana, risparmiare soldi, impattare meno sull’ambiente e, soprattutto, avere più tempo da reinvestire nelle cose che mi fanno stare bene: crescere intellettualmente, essere parte attiva della comunità, passare più tempo con la famiglia e con gli amici e, perché no, anche con il mio animale domestico. Insomma, essere più felice”.
L’occasione da non perdere
Ma investire su un modo di lavorare diverso, più rispettoso delle esigenze e del benessere degli individui e costruito, appunto, in maniera “agile” dal punto di vista spazio-temporale e organizzativo, non è solo un’occasione preziosa per i singoli. A beneficiarne sono anche le aziende, dicono le statistiche: se i collaboratori lavorano meglio sono più produttivi, calano straordinari e malattie e anche i costi si abbassano, con le grandi sedi che possono essere in parte dismesse e impiegate in altro modo. Benefici che – a cascata – arrivano a interessare l’intera collettività. Qualche esempio? La riduzione dell’inquinamento e il miglioramento della qualità dell’aria. Nel suo libro, Bisconti riporta come, in occasione della Settimana del Lavoro Agile promossa a Milano nel 2019, in una sola giornata si sia evitato di riversare nei cieli cittadini 14 tonnellate di CO2, 97 kg di biossido di azoto e 28,9 kg di ossidi totali di azoto: emissioni pari a circa il 35% delle emissioni medie giornaliere prodotte dal traffico nell’Area C milanese. Poi, c’è il tempo che si “libera” (quello, per esempio, che molti trascorrono nel traffico lungo il tragitto casa-ufficio) e che le persone potrebbero reinvestire in attività a favore della comunità. E, ancora, l’inclusività: la flessibilità permette di superare barriere legate a situazioni di salute o personali che altrimenti renderebbero a molti difficile, se non impossibile, lavorare. Per non parlare del riequilibrio di genere lì dove il tempo “liberato” può essere usato dagli uomini per farsi carico di una parte del lavoro di cura che ancora grava quasi per intero sulle donne.
Ma sono le istituzioni e la politica, adesso, a dover fare la loro parte. “Il rischio vero che stiamo oggi correndo in Italia è di perdere l’occasione di trasformare tutto ciò in una grandissima politica pubblica basata su una visione strategica che passi, innanzitutto, da un piano di rafforzamento della connettività. Serve – conclude Bisconti – una visione molto, molto solida rispetto al fatto che un modo diverso di lavorare può essere una grande opportunità per il nostro Paese, per riequilibrare il Nord e il Sud, per risolvere strutturalmente il problema degli alloggi nelle grandi città e anche come forte elemento di attrazione turistica”.