Da quando è stata fondata nel 1971, Greenpeace si è battuta per un mondo più verde, spesso con azioni definite da molti ai limiti del terrorismo, ma con un’eco mediatica importantissima. Un approccio spesso forte, anche nelle campagne di adesione alla loro associazione. E’ solo da pochi anni, però, che questa realtà si è espressa in modo ufficiale sul tema dell’alimentazione e sul suo impatto ecologico: il ruolo degli allevamenti, del consumo di carne e dello spreco di risorse dovute a quello che mangiamo sono entrate a far parte del loro vocabolario anche, si pensa, dopo le pressioni giunte dal film “Cowspiracy” che mise in luce l’assenza di una qualsiasi posizione politica dell’associazione su questo tema.
L’allevamento biologico e la posizione di Greenpeace
Nell’aprile dello scorso anno la Ong pubblicò il suo primo report sul tema con al centro una richiesta precisa: la diminuzione del consumo di carne. Il punto focale era l’impatto sul clima degli allevamenti intensivi ma veniva rilanciato il concetto di “allevamento ecologico”: un nuovo tipo di produzione che ha “il mantenimento delle risorse naturali per minimizzare i danni ambientali. Questo tipo di agricoltura si dovrebbe basare sul rispetto dei cicli della natura, intervento minimo sulla terra, il divieto di OMG e di fertilizzanti chimici altamente inquinanti”. Nel report si leggeva come il concetto di allevamento ecologico fosse basato sull’idea di “bestiame ecologico”: nutrire gli animali ruminanti su praterie e suini e pollame con residui di cibo o residui di raccolto.
Le critiche
Questo concetto è stato nuovamente ribadito nella nuova pubblicazione dell’associazione: l’eco menu, ossia “dieci consigli semplici e concreti per una spesa amica del clima e del Pianeta.” Fra questi anche quello di cercare di consumare “poca carne” e che provenga dai famosi “allevamenti biologici”. Le critiche non hanno tardato ad arrivare. La Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, ha emesso un comunicato nel quale spiega il motivo per il quale i consigli della Ong sono “nel migliore dei casi sono troppo blandi e nel peggiore arrivano a suggerire “soluzioni” che non risolvono nulla e danno un falso senso di sicurezza al lettore, dipingendo una visione di fantasia del sistema dell’allevamento e della pesca che può portare a scelte sbagliate”.
Se è vero che anche poco è meglio che nulla, sottolinea la SSNV, è chiaro che il concetto di allevamenti “buoni” per gli animali e l’ambiente non risponda al principio della realtà: “E’ sbagliato sostenere che esistano allevamenti “ecologici”- continua SSNV – è un ossimoro, una contraddizione in termini. Tutti gli alimenti ottenuti allevando animali (carne, pesce, latte, formaggi, uova) hanno un impatto ambientale molto elevato, se non altro perché non si può inventare un animale che mangiando un chilo di mangime aumenti di un chilo di peso.
Ma non si tratta dell’unico punto messo in discussione dall’associazione dei medici e dei nutrizionisti veg italiana. Se secondo il menu di Greenpeace “Gli animali sono allevati all’aperto, con rispetto e senza sofferenze” la SSNV spiega: “Questo non avviene mai e non potrà avvenire mai. Non esistono allevamenti senza sofferenza”. Lo stesso viene confermato per i pesci: “Non può esistere “pesce sostenibile”. L’unico pesce sostenibile è quello che rimane libero e vivo nel mare”.
Insomma, quella di Greenpeace appare una sorta di visione alleggerita per non scontentare nessuno o per non arrivare a gamba tesa nelle abitudini alimentari del pubblico ma che non suggerisce né stimola una vera soluzione. Il messaggio della Società Scientifica di Nutrizione vegetariana è chiara nelle sue conclusioni: “Non culliamoci nella falsa certezza che qualcuno ci offra una soluzione per risparmiarci il fastidio di cambiare le nostre abitudini a tavola. Vinciamo la pigrizia e l’inerzia, e iniziamo a cambiare!“.