Diminuisce notevolmente il numero dei cani presenti nei canili, ma con forti discrepanze tra Nord e Sud Italia. Aumentano le iscrizioni all’anagrafe canina, ma calano le adozioni e rimane alta l’incidenza sulla spesa pubblica di canili e gattili. È un bilancio fatto di chiaroscuri quello che emerge dal Dossier sul randagismo nel 2016 pubblicato in questi giorni dalla Lav. Secondo lo studio, il numero di cani presenti nei canili italiani è diminuito negli ultimi 10 anni del 22,4 per cento: dai 119.905 del 2006 ai 92.331 nel 2015. Al Sud, tuttavia, il rapporto tra popolazione residente e cani detenuti nei rifugi rimane alto, in modo particolare in Sardegna, Puglia, Campania e Basilicata. Una situazione che non tiene conto degli animali vaganti sul territorio, la cui riproduzione è spesso incontrollata. Nell’ultimo anno sono calate anche le adozioni, dai 33.202 cani adottati nel 2014 ai 32.764 cani nel 2015 (-1,3 per cento). La flessione ha riguardato soprattutto il Nord Italia e, sottolinea la Lav, sarebbe legata alla situazione di difficoltà economica che vivono le famiglie italiane, ma anche alle movimentazioni di cani da Sud a Nord per l’inserimento in famiglia.
Il report è stato realizzato dalla Lega Anti Vivi Sezione, che negli ultimi mesi ha interpellato Comuni, Regioni e Province Autonome per raccogliere dati relativi alla presenza dei cani nei canili e alle colonie feline, alle strutture di accoglienza per cani e gatti, oltre a quelli su sterilizzazioni e adozioni. Le informazioni raccolte sul biennio 2014/2015 (ad eccezione di quelle relative a Calabria, Emilia Romagna e Sicilia, che non hanno trasmesso i propri dati) sono quindi state messe a confronto con gli ultimi numeri ufficiali sul fenomeno del randagismo in Italia del Ministero della Salute, che risalgono al 2006. Tra i dati rilevanti, quello sui costi per la cura dei cani nei canili, che nel 2015 ha sfiorato i 118 milioni di euro. Una cifra, evidenzia la Lav, che se moltiplicata per sette anni, il tempo medio della permanenza in canile di un cane in assenza di adozione, arriva a superare gli 825 milioni di euro.
Molto più incerta la situazione relativa al randagismo felino: in Italia si contano solo 79 strutture per l’accoglienza dei gatti e poco si sa anche delle colonie feline, il cui primato risulta detenuto dalla Regione Lombardia, con 11.595 colonie nel 2015 (seguono il Veneto, le Marche e la Toscana).
“I dati mostrano che il randagismo è un fenomeno estremamente complesso, con molteplici implicazioni che investono la salute degli animali, la sicurezza sanitaria, la gestione dei costi pubblici e una una grande variabilità geografica”, spiega Ilaria Innocenti, Responsabile Lav Area animali Familiari. “Per questi motivi, occorre agire in modo coordinato su livelli diversi, pubblico e privato, nazionale e locale”. La Lega Anti Vivi Sezione indica anche alcune linee di intervento, dagli incentivi fiscali per favorire le adozioni degli animali a una più ferrea applicazione delle normative giù esistenti come quelle relative all’iscrizione all’anagrafe canina fino alla messa a punto di un nuovo modello di canile, che superi l’idea di luogo di “detenzione” e di business, nell’ottica di una struttura in grado di garantire un habitat più confortevole e controllato agli animali ospitati e adatto alle loro caratteristiche etologiche.
“È’ necessario che, come previsto dalla legislazione vigente – prosegue Innocenti – i Comuni assicurino la presenza del volontariato nei canili e nei gattili, indispensabile alla promozione dell’inserimento in famiglia degli animali, ma anche per assicurare un risparmio a tutta la collettività. Per giungere a sanare questo fenomeno, che rappresenta una piaga innanzitutto per gli animali, ma anche per la società civile – conclude – è fondamentale lavorare sulla prevenzione, incentivando sterilizzazioni, iscrizioni in anagrafe canina e identificazione obbligatoria per i gatti, e nella promozione delle adozioni consapevoli per garantire la salute psicofisica degli animali e il risparmio di denaro pubblico”.