Vegolosi

Bracconaggio uccelli selvatici: la mappa italiana

Il Delta del Po e le Prealpi lombardo-venete. Le coste pontino-campane e quelle pugliesi e, ancora, la Sardegna meridionale, la Sicilia occidentale e lo Stretto di Messina. Sono questi i black-spot del bracconaggio italiano, ovvero le sette zone del territorio nazionale nelle quali la caccia illegale di uccelli risulta particolarmente attiva. Lo ha rilevato un’indagine condotta dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che ha evidenziato come in Italia l’uccisione, la cattura e il commercio illegale di volatili siano pratiche diffuse su tutto il territorio nazionale. Oltre ai 7 black-spot, l’Ispra ha infatti individuato altre zone a rischio: la Liguria, la fascia costiera della Toscana, la Romagna, le Marche e il Friuli-Venezia Giulia.

Una mappatura che non stupisce: secondo un’indagine di BirdLife International l’Italia è infatti al secondo posto dopo l’Egitto tra i 18 Paesi dell’area mediterranea per numero di uccelli catturati o uccisi ogni anno (circa 5,6 milioni di esemplari). Lo studio condotto dall’Ispra, sulla base del quale il Ministero dell’Ambiente elaborerà nei prossimi mesi un piano nazionale di azione e repressione del fenomeno, entra ora nel dettaglio delle modalità adoperate dai bracconieri zona per zona. Nelle Prealpi lombarde, soprattutto tra Brescia e Bergamo, in quelle venete e in Friuli, per esempio, è diffusa la cattura illegale in autunno attraverso l’impiego di archetti, trappole, reti e vischio. Le vittime principali sono pettirossi, pispole, spioncelli e fringuelli anche se, ha rilevato l’Ispra, le specie che possono rimanere intrappolate sono moltissime perché i mezzi di cattura utilizzati non sono selettivi. Lungo la costa adriatica, invece, le catture vengono condotte con reti verticali durante le ore notturne, attirando i migratori in arrivo dall’area balcanica con richiami acustici elettronici e luci artificiali. Spesso gli uccelli vengono catturati per essere venduti nel circuito della ristorazione, più raramente invece per il consumo diretto delle carni.

Nelle isole dell’arcipelago pontino e dell’arcipelago campano, le catture avvengono durante la migrazione di ritorno a partire dal mese di marzo, per poi proseguire fino al mese di maggio. In Sardegna, invece, è diffusa una forma di bracconaggio ai tordi praticata principalmente tra novembre e febbraio nel Sulcis meridionale: qui i mezzi di cattura tradizionali sono rappresentati dai crini di cavallo, disposti sopra un rametto tra la vegetazione in modo da formare un cappio per gli uccelli che vi si posano. Un altro sistema utilizzato è quello di un laccetto ancorato a terra per mezzo di un filo di ferro su cui viene infissa una bacca come esca. I tordi vengono uccisi per essere venduti ai ristoratori locali per la preparazione di un piatto tipico, le “grive” (i tordi in sardo) al mirto. Anche in questo caso, dal momento che i mezzi di cattura non sono selettivi, oltre ai tordi vengono uccisi uccelli appartenenti a molte altre specie: tra le vittime più frequenti, pettirossi, occhiocotti, pernici sarde, fringuelli e frosoni.

Anche gli uccelli acquatici non sfuggono all’attenzione dei bracconieri italiani. La caccia in questo caso è praticata soprattutto di notte mediante mezzi illegali come i richiami acustici elettronici, anche in zone e verso specie protette e in periodi nei quali sarebbe vietata per legge. È quanto avviene soprattutto sul litorale domizio, in Campania e nelle zone umide della Capitanata, in Puglia.

Infine, i rapaci, che vengono abbattuti con armi da fuoco su tutto il territorio nazionale e, in modo particolare, sullo stretto di Messina. Qui gli uccelli vengono uccisi durante la migrazione (circa 200-300 esemplari in primavera e 400-600 in autunno, secondo le stime Ispra). Il numero potrebbe tuttavia essere di gran lunga maggiore visto che non tutti gli uccelli colpiti vengono recuperati. La stima non comprende nemmeno i dati sui furti di uova e piccoli di rapaci dai nidi: una pratica molto redditizia, esercitata soprattutto nelle aree ad economia svantaggiata.