Lo stop definitivo all’attività degli allevamenti di visoni, accompagnato da ristori immediati stimati, a livello regionale, in 13 milioni di euro per favorire la riconversione delle aziende. La richiesta al Governo è arrivata, nei giorni scorsi, da Regione Lombardia, per bocca degli assessori al Welfare Letizia Moratti e all’Agricoltura Fabio Rolfi.
La motivazione: “la necessità di prevenire future zoonosi, tutelando la salute delle persone” dopo i casi di trasmissione negli allevamenti del Sar-CoV-2 che nei mesi scorsi hanno portato il Ministro della Salute Roberto Speranza a decidere per una sospensione provvisoria delle attività in vigore, al momento, fino al 31 dicembre.
Una proposta che segue quella analoga già avanzata tempo fa dalla Regione Emilia Romagna e che, però, in Lombardia fa il paio con un’altra richiesta rivolta al Governo dagli assessori Moratti e Rolfi: quella per “un serio contenimento della fauna selvatica“, ovvero per l’abbattimento di cinghiali, daini, cervi, nutrie che provocherebbero danni alla aziende agricole lombarde e alla sicurezza sulle strade.
I conti non tornano
Alla base delle richiesta di chiusura degli allevamenti di visoni non ci sarebbero solo motivazioni di carattere sanitario: “Quella dei visoni – hanno detto chiaramente Moratti e Rolfi – è una filiera economica ormai in seria difficoltà a fronte dei cambiamenti del mercato. Altri Paesi europei stanno prendendo decisioni simili che rischiano di rendere difficile anche la sostenibilità della filiera del visione in termini di accasamento degli allevamenti”. Quello delle pellicce è, infatti, un mercato in caduta libera a livello mondiale, se si considera sia il calo della produzione sia l’adesione da parte di un sempre maggior numero di brand della moda a politiche fur-free (come abbiamo raccontato anche noi nel numero di febbraio di Vegolosi MAG). L’emergenza sanitaria di questi mesi potrebbe rappresentare, quindi, l’occasione per queste attività per riconvertirsi prima che sia troppo tardi, grazie al sostegno economico dello Stato.
I conti, per quanto riguarda la Regione Lombardia, però, non tornano. Lo denunciano le associazioni animaliste come Lav e Essere Animali, che da anni monitorano la questione e si battono per la chiusura degli allevamenti di visoni. Il Pirellone chiede, infatti, al Governo 13 milioni di euro di ristori per favorire la riconversione di 7 allevamenti di visoni presenti sul territorio regionale. Ma in Lombardia, spiega Simone Pavesi, responsabile Lav Moda Animal Free, “solo 2 allevamenti hanno visoni, mentre 4 risultano con codice attività aperto ma le gabbie sono vuote da prima della pandemia o addirittura già smantellati, e 1 (quello di Capralba) è stato svuotato in seguito alla scoperta del focolaio di Sars-Cov2”.
La richiesta di Moratti e Rolfi, precisa la Lega Antivivisezione, è “ottima ma il Governo non deve cadere nel “tranello” della Lombardia, che rispetto alla tutela della Salute Pubblica sembra più interessata alla tutela degli allevatori. Sapendo che questi allevamenti non hanno un futuro, con la scusa della Salute Pubblica – dice ancora la Lav – reclama indennizzi spropositati e addirittura per allevamenti che esistono solo sulla carta“.
Sono giusti i ristori?
Conti e posizione condivisa anche da Essere Animali che evidenzia come “non sia possibile mettere gli allevatori di visoni sullo stesso piano di altre categorie che hanno subito una perdita economica a causa della pandemia. Il settore delle pellicce conosce una crisi globale da diversi anni e, in Italia, gli allevamenti rimasti aperti hanno proseguito per cieca ostinazione. Non è quindi corretto, a nostro avviso, impiegare denaro pubblico per supportare questi imprenditori, che hanno scelto liberamente di correre un rischio eccessivo restando in attività e che alla lunga sarebbero stati destinati al fallimento, anche nel caso in cui la pandemia non si fosse verificata”.
Il “contenimento” della fauna selvatica
Che alla base della pur importante richiesta del Pirellone per la chiusura definitiva degli allevamenti di visoni ci siano motivazioni di carattere strettamente economico e non certamente etico è, in ogni caso, confermata dall’altra proposta che i due assessori lombardi hanno fatto contestualmente al Governo. Ovvero, procedere al contenimento della fauna selvatica “per tutelare la salute pubblica, il patrimonio zootecnico e garantire la biodiversità”. Secondo la Regione ammonterebbero a 350mila euro i risarcimenti di cui avrebbero diritto gli agricoltori lombardi per il mancato “contenimento” (ovvero soppressione) degli animali selvatici in questo anno di pandemia.
Nel 2019, in Lombardia erano stati abbattuti 4.252 cinghiali grazie alle azioni programmate dalla Regione in tal senso: 952 tramite i piani di controllo, 2.380 tramite la caccia di selezione e 920 attraverso la caccia collettiva. Rolfi in più occasioni aveva ringraziato proprio i cacciatori per la loro attività servita a contenere, appunto, il “proliferare incontrollato di cinghiali, caprioli, cervi, nutrie, lepri, daini e di tutta la fauna selvatica” che rappresenta “una sciagura per l’agricoltura lombarda e per la sicurezza delle persone”.
“Più caccia, meno salute”
“Non c’è nessun nesso tra la caccia e la tutela della salute, anzi”, sottolinea però Pavesi della Lav. “Più si caccia più aumentano le occasioni di contatto con la fauna selvatica più – come avrebbe dovuto insegnarci la pandemia – aumentano i rischi di possibili zoonosi e quindi di passaggio di eventuali virus di cui potrebbero essere portatori gli animali all’uomo”.