Viaggio nel mondo del caffè: quanto impatta, quale scegliere, come prepararlo

ll caffè è la bevanda più consumata al mondo eppure non sappiamo quasi nulla del lungo viaggio che porta il chicco dal ramo fin nelle nostre tazzine e dell’impatto sociale e ambientale della sua produzione

di Francesca Isola

Il caffè occupa un posto speciale nel cuore di tutti. Che lo si beva per concedersi un momento di relax oppure perché si ha bisogno di una sferzata di energia, resta sempre uno dei grandi piaceri della vita. Al di là però dell’amore che nutriamo nei suoi confronti, è bene chiedersi come avviene la sua produzione e quale sia il suo impatto sociale. Andrea Villa, Coffee Trainer presso l’AICAF, Accademia Italiana Maestri del Caffè, ha risposto alle nostre domande, per far luce su tutto ciò che si cela dietro “l’oro nero”.

Qual è l’impatto ambientale della produzione del caffè?

Il caffè è una delle bevande più diffuse al mondo e la sua esportazione è al secondo posto su scala globale dopo il gas naturale. Circa 25 milioni di persone lavorano in piantagione, mentre sono 80 milioni gli operatori che ruotano attorno alla famosa tazzina che ogni giorno beviamo al bar; inoltre, negli ultimi anni la richiesta del caffè è aumentata del 60% circa. La produzione ha un enorme impatto ambientale collegato alla sua coltivazione, causando spesso disboscamenti per ottenere un maggior numero di piantagioni. Anche l’utilizzo di acqua gioca un ruolo estremamente importante. Uno dei metodi più utilizzati infatti è la lavorazione a umido. Le ciliegie del caffè vengono messe in vasche di separazione colme di acqua, sfruttando la differenza di peso specifico di frutti maturi, acerbi e marci. In un secondo momento, dopo essere spolpati, i chicchi sono messi in vasche di fermentazione per pulirli il più possibile. Anche i cambiamenti climatici in corso stanno influenzando l’agricoltura del caffè. Le gelate in Brasile degli ultimi anni, per esempio, hanno ridotto la produzione del 25%
circa con conseguente aumento del prezzo della materia prima. In ultima analisi, deve essere preso in considerazione anche il trasporto dei sacchi di caffè, che avviene per il 90% via nave, attraversando i più famosi oceani mondiali.

E qual è invece l’impatto sociale?

Il caffè è coltivato in quella che chiamiamo “coffee belt”, una zona che va dal Tropico del Cancro al Tropico del Capricorno, territori estremamente poveri. La manodopera in molte piantagioni è retribuita pochissimo, con stipendi che oscillano tra i 5 e i 15 dollari al giorno. La mancanza di infrastrutture adeguate, strumenti di lavorazione tecnologici e le difficili condizioni ambientali causano uno stile di vita precario per i contadini. Si deve anche considerare che esiste purtroppo anche molto sfruttamento minorile e circa il 70% di chi fa questo lavoro sono donne.

Che cosa significa “caffè Fairtrade”?

Non tutte le piantagioni lavorano nel medesimo stile. Esistono tantissime realtà virtuose che curano il benessere degli agricoltori e delle piante. Un caso molto famoso è quello del Fairtrade, il caffè equo e solidale che viene coltivato nel rispetto delle persone. Le grandi aziende stipulano contratti pluriennali e ai proprietari di piccole piantagioni, soprattutto quando riuniti in cooperative, viene pagato un prezzo che non scende mai sotto una certa soglia, garantendo così una ragionevole certezza di reddito. Inoltre, si incoraggiano progetti socialmente utili nelle comunità in cui vivono. Questa tipologia di caffè si riconosce grazie a un logo ben visibile sulle confezioni.

Come si valuta la qualità di un caffè? Come posso scegliere un caffè buono, non solo a livello qualitativo ma anche sociale?

A un occhio inesperto non è facile riconoscere il caffè di qualità. La grande selezione avviene quando il caffè è ancora verde, cioè crudo. Il trasporto, lo stoccaggio e la cura della materia prima spesso non contribuiscono alla conservazione ottimale del chicco di caffè. In secondo luogo la tostatura copre alcuni difetti andando ad esaltare note amare non sempre gradevoli nella tazzina di caffè. Per anni abbiamo bevuto caffè di bassa qualità, spesso concentrandoci più sul prezzo che sul gusto finale. Dobbiamo ricordarci che il giusto caffè è un equilibrio sensoriale tra dolcezza, acidità e amarezza, senza che uno di questi gusti prevalga sull’altro. Spesso siamo attratti dai nomi commerciali delle buste di questo favoloso chicco, ma sarebbe più importante leggere attentamente le etichette, come facciamo per esempio con il vino o con tantissimi prodotti sugli scaffali della grande distribuzione. Capirne la provenienza, le specie, i metodi di lavorazione e le organizzazioni che spesso tutelano le piantagioni (come, appunto, Fairtrade o Rainforest) e che permettono una scelta più consapevole del prodotto. Anche la tipologia di tostatura influenza in modo massiccio il gusto finale della tazza. Un chicco pulito, con un colore marrone nocciola è sinonimo di qualità e trasparenza.

Quali sono i trucchi per preparare in casa un ottimo caffè? Magari con la moka…

Una volta scelto il prodotto che rispetta di più i nostri gusti etici e sensoriali è fondamentale non improvvisarsi baristi. Anche per la semplice preparazione della moka, prodotto totalmente italiano inventato nel 1933 da Alfonso Bialetti, servono alcuni trucchi importanti, a iniziare dalla scelta dell’acqua. Dobbiamo considerare che circa il 90% di tutte le bevande a base di caffè sono composte da acqua. Utilizzare una caraffa filtrante, eliminando tutte le varie bottiglie di plastica e ribilanciando il contenuto di sali minerali, permette di avere un’ottima base di partenza. È fondamentale anche il rapporto tra grammi di caffè e grammi di acqua, chiamato tecnicamente brew ratio. Con una piccola bilancia da cucina dobbiamo inserire un quantitativo di caffè pari a circa il 10-12% di acqua immessa nella caldaia fino alla valvola. Il caffè dovrebbe essere macinato al momento o in ogni caso essere estremamente fresco. La fiamma da utilizzare per la preparazione della moka non deve mai superare il diametro della caldaia stessa e il coperchio in fase di preparazione deve essere alzato. Quando la magia avviene, cioè il caffè inizia la sua risalita, attendiamo che inizi la fase “vulcanica” cioè inizi a zampillare, fase che corrisponde alla fine dell’erogazione. A questo punto chiudiamo il coperchio, togliamo la moka dalla fonte di calore e attendiamo la fine dell’estrazione. Aiutiamoci con un cucchiaino da cucina a mescolare la bevanda nera e serviamo ai nostri ospiti. E per concludere, il caffè non si deve mai conservare in frigorifero: l’umidità è un nemico naturale del nostro caffè!

 

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